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Categoria: Cinema
Creato Lunedì, 01 Dicembre 2014

Charlotte Gainsbourg Foto di Luca BaronciniTre cuori recensione di Luca Baroncini (n°174)

di Benoît Jacquot

con Benoît Poelvoorde, Charlotte Gainsbourg, Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve

Sono tante le sollecitazioni fornite dall’opera di Benoît Jacquot. Si parla di passione, solitudine, legami familiari, predestinazione, ma soprattutto di amour fou, quell’amore “folle” perché irragionevole, quindi contrario a qualsiasi razionalità e in grado di superare tutte le barriere del buon senso. Il regista racconta in modo atipico una situazione classica, il triangolo, dove al centro c’è un uomo condiviso da due donne. Il fatto è che le due donne sono sorelle, non sanno l’una del rapporto dell’altra, e lui di una diventa il marito.

L’andamento assume fin da subito, a causa di una colonna sonora quanto mai spettrale, i connotati di un thriller dei sentimenti e la grevità si insinua lasciando vane le speranze di un trattamento leggero all’insegna dell’ironia. Fino a quando rimane sospeso nei non detti il film funziona. Il primo incontro casuale nella provincia francese, a causa di un treno perduto, con una ragazza misteriosa e sensuale (Charlotte Gainsbourg, icona della disfunzionalità affettiva), arriva quasi onirico nel suo concretizzarsi in un’intesa. Due sconosciuti che entrano nei rispettivi spazi invadendoli e finendo per occupare più intimità di quella che immaginavano.

L’appuntamento a Parigi, mancato per una serie di coincidenze sfavorevoli, accarezza “Un amore splendido” (nel film di Leo McCarey, Cary Grant e Deborah Kerr non si scambiano le generalità e si danno appuntamento in cima all’Empire State Building un giorno e a un orario prefissati), ma già con l’incontro, altrettanto casuale, con un’altra ragazza, un po’ meno misteriosa e sensuale (una convincente Chiara Mastroianni), le coincidenze cominciano a diventare un po’ troppe. Fortunatamente Jacquot non chiarisce i dubbi e lascia che lo spettatore continui a interrogarsi sulla consapevolezza del protagonista, attratto dal buco nero delle situazioni senza via di uscita.

Il problema è che il film finisce per girare un po’ a vuoto, non trovando in scioltezza la strada della resa dei conti che quando inevitabilmente arriva sfida, perdendo, il ridicolo.

Ottima la prova del protagonista (Benoît Poelvoorde), più che altro culinario il contributo di Catherine Denevue, intenta soprattutto a preparare pranzi e cene per le due figlie protagoniste.

 

 

 

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