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Categoria: Cinema
Creato Mercoledì, 01 Febbraio 2017

HACKSAW RIDGE Teresa Palmer Andrew GarfieldLa battaglia di Hacksaw Ridge, recensione di Luca Baroncini (n°198)

di Mel Gibson

con Andrew Garfield, Teresa Palmer,

Hugo Weaving, Vince Vaughn, Rachel Griffiths, Luke Bracey, Sam Worthington

Cosa cerchiamo in un film?

Intrattenimento? Riflessione? Esplicitazione dei valori in cui crediamo? Perfezione tecnica? Sembra banale chiederselo, ma davanti all’opera di Mel Gibson la domanda assume un significato particolare. Con “Hacksaw Ridge”, infatti, ci troviamo immersi in un film di guerra tecnicamente ineccepibile, con scene di battaglia superbamente coreografate e dalla resa emotiva ai limiti dello shock. Eppure la qualità visiva del film non va di pari passo con l’ambiguità di fondo che attraversa l’opera.

Qui il protagonista, e la storia è vera, durante la Seconda guerra mondiale decide di servire la patria non imbracciando il fucile ma come obiettore di coscienza. In pratica non vuole uccidere, ma salvare vite umane. Il conflitto del personaggio è forte, e la prima parte cerca di sviscerarlo mostrando la genesi della sua scelta e i rapporti controversi con il mondo militare. Il seguito, invece, dettaglia l’orrore della guerra e i suoi esiti distruttivi. Il problema di fondo è che Gibson trasforma il protagonista in un eroe suo malgrado. Nonostante non voglia uccidere il nemico (la battaglia è quella contro i giapponesi a Okinawa), finirà infatti per rivelarsi figura determinante salvando ben 75 compagni di squadra dati per spacciati. Quasi un supereroe che armato unicamente di buoni propositi e fede ha la meglio sul nemico.

“Odio la guerra” ha dichiarato Gibson in conferenza stampa al festival di Venezia, dove il film è stato presentato Fuori Concorso in anteprima mondiale, “ma amo i guerrieri”. E il protagonista un guerriero lo diventa, un personaggio quindi perfettamente nelle corde di Gibson che anche nelle sue regie precedenti (basta pensare a “The Passion”, ma anche al successivo “Apocalypto”) si è dimostrato interessato a tematiche che intrecciano visceralmente fede religiosa, carne martoriata e tormenti personali.

Se la messa in scena funziona egregiamente, la sceneggiatura inanella però stereotipi a gogò (dalla suddivisione dei caratteri delle reclute alle poche incursioni nel campo nemico), non rende mai davvero problematici i conflitti ed enfatizza il ruolo salvifico del protagonista e il cambio di prospettive con cui finisce per essere celebrato. Tutto edificante, manipolatorio e retorico, tra dettagli truculenti in evidenza (punto fermo del regista per dare verità ai fatti), amicizie virili, pacche sulle spalle e uomini dalla scorza dura ma dal cuore d’oro.

L’insieme viene impaginato con senso del ritmo, attenzione alla resa emotiva e grande perizia tecnica. Aspetti certo da non sottovalutare, o dare per scontati, che non mettono però a tacere un interrogativo: abbiamo ancora bisogno di un cinema di questo tipo? E, soprattutto, abbiamo ancora voglia di vederlo? La domanda, checché ne dicano i molti critici entusiasti che accusano le voci dubbiose di ignoranza, ideologia e superficialità, è più che lecita!

 

 

 

 

 

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