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Categoria: Cinema
Creato Lunedì, 07 Novembre 2022

locandina triangleTriangle of Sadness, recensione di Luca Baroncini (n°257)

di Ruben Östlund

con Harris Dickinson, Charlbi Dean, Woody Harrelson, Zlatko Buri

Il regista svedese Ruben Östlund ci ha abituati a un cinema provocatorio e spiazzante in grado di scardinare certezze e luoghi comuni. Quello che ci propone con “Triangle of Sadness” è un nuovo viaggio nelle convenzioni sociali e nei giochi di potere alla base dei rapporti umani, dove a volte ci si trova dominati e altre sottomessi. 

L’opera, premiata a Cannes con il massimo riconoscimento - la Palma d’Oro (e per Östlund è la seconda dopo quella per “The Square” nel 2017) - si compone di tre raccordi, accomunati da due protagonisti, un modello e una modella/influencer, che li attraversano tutti. 

Il primo è un gioiellino di scrittura e messa in scena. Parte da una situazione quanto mai semplice (pagare il conto al ristorante) per smontare tutti gli stereotipi sociali e le relative ipocrisie, mettendo in discussione le dinamiche di coppia e di genere e dimostrando come certi atteggiamenti e percezioni siano diventati automatismi culturali discutibili. 

I due episodi successivi cambiano completamente l’ambientazione, prima su una nave da crociera, poi su un’isola deserta, e allargano le riflessioni al macro. Nel farlo il film mantiene intatto il divertimento e il piacere di essere testimoni di conflitti di classe esacerbati mentre si è comodamente adagiati su una poltrona e protetti da un grande schermo, ma al contempo perde in leggerezza e ispirazione finendo per trasformarsi in una farsa grottesca e sopra le righe. 

Gustosa certo, Östlund sa quali tasti toccare, ma li tocca pigiando forte ed esasperando i toni. Finisce quindi per parlare soprattutto alla pancia, tra l’altro giocando facile nel farsi beffe dei super ricchi, e perde via via quel miracoloso equilibrio che bilanciava con armonia il primo episodio. 

Nel gioco al massacro non si salva comunque nessuno perché tutti, ci fa capire Östlund, se messi alle strette siamo corruttibili e spietati. Lo sapevamo già, certo, ma qualcuno che ce lo ricordi attraverso un cinema non sempre raffinato ma eversivo, arguto e comunicativo, è sempre un piacere. 

Il “triangolo della tristezza” del titolo (lasciato in originale anche per l’edizione italiana) è quello che, nel prologo spassoso, un fotografo di moda nota sul viso del modello poi protagonista, una piccola porzione della fronte, poco sopra le sopracciglia, che rappresenta un concentrato inestetico di energia negativa.

 

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