The Son, recensione di Luca Baroncini (n°259)
di Florian Zeller
con Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen Mcgrath, Anthony Hopkins
Il drammaturgo Florian Zeller ha creato una trilogia dedicata alla famiglia che ha mietuto successi teatrali un po’ ovunque. Di “The Father” ha anche scritto e diretto la trasposizione cinematografica, debuttando alla regia e ottenendo ampi consensi, tra cui anche l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale (e il film anche quello per il migliore attore ad Anthony Hopkins).
Trova la via del grande schermo anche la pièce di “The Son” che con la precedente opera ha in comune un elemento: la difficoltà di riconoscere la malattia prima che venga ufficialmente diagnosticata. In “The Father” si parlava di demenza senile, con “The Son” il tema è quello della depressione giovanile. Al centro del racconto c’è il giovane Nicholas, adolescente inquieto che dopo la separazione dei genitori, da cui non si è mai ripreso, vive con la madre. Il padre si è rifatto una famiglia, è diventato da poco nuovamente genitore e ha un quotidiano frenetico a causa anche di un lavoro impegnativo che gli assorbe molte energie.
Il film si focalizza sui personaggi e sulla loro incapacità di dare un nome clinico a un disagio, rendendolo così impossibile da circoscrivere e curare. Tutti cercano di fare del proprio meglio, ma finiscono per essere sopraffatti da reazioni che disattendono le aspettative e vanno oltre ogni approccio razionale: il padre è talmente ossessionato dall’idea di non essere come suo padre, del tutto menefreghista nei confronti della famiglia, da perdere di vista le reali esigenze di suo figlio; la madre si comporta sempre sul filo dell’ambiguità, idealizza la riunione familiare e non riesce ad accettare, nonostante si sforzi di farlo, la vita del marito senza di lei; la nuova moglie cerca di barcamenarsi tra la difesa dei propri spazi e la condivisione di un disagio. Il figlio, perno intorno a cui tutto ruota, nega, mente, alterna sfrontatezza e insolenza a tenerezze e fragilità e destabilizza continuamente ogni certezza, inducendo a pensare che la situazione non sia poi così grave.
Il contesto alto borghese e l’assenza di problemi economici rischiano un po’ di distrarre dal dolore messo in scena; dinamiche familiari e cliniche sono però universali, l’agio dei protagonisti le rende semplicemente più fotogeniche.
La sceneggiatura è complessa e ricca di sottigliezze, non ci sono facili soluzioni, ma la capacità di condurre, senza sconti, dove il dramma fa male.
Il cast di star fa il suo dovere, in particolare Hugh Jackman, sempre più in grado di combinare registri diversi e regalare sfumature ai suoi personaggi.
Presentato in concorso al Festival di Venezia ha avuto riscontri critici inaspettatamente negativi (come, del resto, erano stati esageratamente positivi quelli per “The Father”). Prossima puntata, se il pubblico risponderà positivamente, con il terzo capitolo dedicato a “La madre”, il primo della trilogia a essere portato in scena nel 2010.