Holy Spider, recensione di Luca Baroncini (n°260)
di Ali Abbasi
con Mehdi BajestaniZar, Amir-Ebrahimi, Arash Ashtiani
Tra il 2000 e il 2001 un serial killer seminò il terrore nella cittadina iraniana di Mashhad.
Saeed Hanaei, questo il nome dell’assassino, era un uomo apparentemente mite, padre di famiglia e fervente religioso. Nel suo agire abbordava prostitute lungo la strada, le portava in casa approfittando di temporanee assenze della famiglia, e le strangolava. Il suo scopo era quello di purificare il paese dalla depravazione. Il caso ebbe vasta eco perché Hanaei uccise sedici donne e suscitò atti di emulazione che continuarono anche dopo il suo arresto.
È chiaro fin da subito che ad Ali Abbasi (vincitore a Cannes nel 2018 nella sezione “Un certain regard” con “Border”) interessa solo in parte il risvolto thriller, il suo intento è soprattutto quello di sensibilizzare il pubblico sulla condizione femminile in Iran evidenziando il fanatismo di alcune fasce della popolazione. A introdurci nella sua visione il personaggio, per gran parte di finzione, di una giornalista che cerca di fare chiarezza sul caso. La donna sospetta che dietro al succedersi delle morti ci sia la tacita complicità delle autorità che sotto sotto non disprezzano l’operato del serial killer e fanno poco, comunque meno di quello che potrebbero, per fermarlo.
Il regista, iraniano ma naturalizzato danese, costruisce un film teso e compatto che nell’esplicitare l’indagine segue gli stilemi del cinema occidentale. A parte l’ambientazione e un tasso di brutalità superiore alla media le situazioni proposte sono infatti quelle viste in decine di film americani ed europei: la polizia corrotta, il personaggio fuori dal coro che deve vedersela da solo, la difficile ricerca dell’assassino in un teso succedersi di piste e false piste, con lo spettatore che conoscendo l’identità del serial killer è sempre un passo avanti rispetto alla protagonista.
Il regista mette in scena la vicenda in modo molto lineare e diretto con indubbia professionalità, senza però particolari raffinatezze, né narrative, né visive. Se il film si segue con interesse, ma tutto sommato non scuote più di tanto, è perché offre più risposte che domande, lasciando poco spazio al dubbio. Il che non ne compromette l’efficacia, perché intrattiene e si apprezza per l’originalità del contesto, ma lo rende meno problematico e profondo delle intenzioni.
La protagonista Zahra Amir Ebrahimi ha vinto il premio come migliore attrice al festival di Cannes del 2022, dove il film è stato presentato in concorso.