Niente di nuovo sul fronte occidentale, recensione di Luca Baroncini (n°262)
di Edward Berger
con Felix Kammerer, Albrecht Schuch, Daniel Brühl
Diciamolo, il film è potente e in grado di scuotere, ma è anche un supplizio, perché violenta lo spettatore con una sequela pressoché ininterrotta di orrori.
Ma procediamo per gradi. Si tratta del terzo adattamento cinematografico, piuttosto libero, dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque ed è ambientato tre anni dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale; racconta la progressiva presa di coscienza di quattro ragazzi che si arruolano nell’esercito tedesco con il candore della giovinezza, la testa piena di slogan inneggianti al culto dell’onore e della difesa della patria e l’idea di apprestarsi a vivere una grande avventura.
Scopriranno presto che la realtà è molto diversa e che la guerra non è altro che il massacro di persone innocenti che si uccidono brutalmente tra di loro mentre uomini in alta uniforme pasteggiano amabilmente decidendo le sorti del mondo.
La devastazione piscologica e fisica della guerra ci è già stata mostrata senza sconti varie volte al cinema, pensiamo a “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg che ha cambiato l’approccio visivo al tema nel cinema moderno, ma l’immersione che ci consente il regista Edward Berger è di quelle che si fissano nella memoria, perché attenta alla ricostruzione storica e a coinvolgere emotivamente nel conflitto; una guerra di trincea che cambia di poco gli avanzamenti reciproci mentre falcidia un’intera generazione.
La regia di Edward Berger è tecnicamente ineccepibile, ai limiti del virtuosismo, tra lunghi piani sequenza e scene di massa complicate, la fotografia è curatissima e accentua il contrasto tra la natura e il suo noncurante perpetuarsi mentre giovani vite scompaiono senza un perché, gli interpreti sono appropriati e la sceneggiatura inanella un pugno nello stomaco dietro l’altro, con dovizia di dettagli horror.
È questa scelta, ai limiti del compiacimento, che insinua qualche dubbio sul film: spettacolarizzare la violenza, enfatizzare i momenti drammatici, traumatizzare lo spettatore, sono aspetti che effettivamente sostengono lo spirito antimilitarista del film, oppure rischiano di causare un black-out comunicativo?
La pace si supporta davvero attraverso un’esibizione così marcata della violenza?
Alla sensibilità di ognuno l’ardua sentenza.
Il film, disponibile su Netflix, è stato pressoché unanimemente apprezzato, trionfando ai Bafta (ne ha vinti sette) e conquistando quattro Oscar (miglior film internazionale, fotografia, scenografia e colonna sonora).