Fair Play, recensione di Luca Baroncini (n°267)
di Chloe Domont
con Phoebe Dynevor, Alden Ehrenreich, Eddie Marsan, Rich Sommer
Emily e Luke sono una coppia come tante. L’unica differenza è che lavorano per lo stesso prestigioso fondo fiduciario e in base alla policy aziendale non dovrebbero intrattenere una relazione.
L’apparenza è di equilibrio, entrambi sognano una carriera, hanno solidi studi alle spalle, sono brillanti, rampanti e determinati. Lui sembra prossimo alla promozione, lei lo sostiene. L’ambiente è molto competitivo, chiunque farebbe carte false per quel posto. Squali che combattono con tutti i mezzi altri squali.
Poi, accade l’inaspettato. A essere promossa è lei invece che lui. L’evento cambia per sempre le geometrie di coppia aprendo la strada a un retaggio culturale maschilista che intossica il rapporto. Il film si apre con una scena di sesso atipica, con un rapporto orale dell’uomo nei confronti della donna che ha però le mestruazioni, quindi si sporcano entrambi di sangue. Sembra una dichiarazione di intenti della regista e sceneggiatrice per dare risalto all’umanità dei personaggi, ma soprattutto per stabilire un confine, come a dire che non sarà un film come gli altri (il più delle volte le mestruazioni danno origine a gag scurrili e mortificanti). Nel prosieguo del film, però, Luke dimostrerà molta meno apertura, perché non riuscirà ad accettare il successo della compagna, soprattutto il suo insuccesso.
Sarebbe accaduto lo stesso se le parti fossero invertite? O tra due persone dello stesso sesso? Il film inizialmente si mantiene abbastanza neutrale al riguardo, ma ben presto l’invidia di Luke prende la forma di una mascolinità tossica tesa a umiliare Emily per il suo essere donna. Un sentire con radici profonde che emerge quando i toni si esasperano.
Il film finisce quindi per parteggiare per Emily, ma non ne fa, per fortuna, un’eroina a tutto tondo, anche lei ha infatti le sue ombre, quello che le interessa non è cambiare il punto di vista degli altri e fare giustizia, ma unicamente fare carriera. Poco male se per farlo dovrà inghiottire più di un rospo. Il film è abile nel mostrare i confini sottili tra la violenza (maschile) e la remissività (della protagonista) mettendo in scena in modo credibile dinamiche comportamentali cariche di ambiguità e che probabilmente ognuno interpreterà in base alla propria sensibilità. In tal senso le sequenze più disturbanti finiscono per essere quelle in cui la violenza è data per scontata (dagli uomini) e accettata per quieto vivere (dalla donna), come quando Emily, trascinata in uno stripclub, asseconda il turpiloquio maschile e se ne fa portavoce, oppure quando il super capo, dopo un’operazione commerciale andata malissimo, le urla furioso “don’t fucking bitch!”, cioè “non fare la stronza!”, utilizzando il termine “bitch” che sta per “cagna, puttana”, e lei decide di non replicare. Una fotografia di un mondo del lavoro ancorato alla cultura patriarcale, (forse, ma dipende dalle singole realtà e geografie, un po’ datata), dove il cambiamento è solo forma (un manager viene licenziato e fa una scenata in preda all’isteria mentre si sentono in sottofondo i corsi obbligatori legati all’inclusione e alla capacità di risolvere i conflitti).
Poco rassicurante ciò che vediamo, interessante proprio per l’assenza di eroi, con due protagonisti che, diciamolo, nessuno vorrebbe come colleghi, perché squali tra gli squali. Se il film funziona è anche grazie a questa mancanza di redenzione che rende verosimile la discesa agli inferi dei personaggi, anche di chi sembra salvarsi.
Bravi i due protagonisti dai nomi impronunciabili: Alden Ehrenreich, già protagonista di “Solo: A Star Wars Story”, e Phoebe Dynevor, star della serie tv “Bridgerton”, anche se quello che colpisce di più è Eddie Marsan, di solito in ruoli mansueti e qui invece supercapo cattivissimo cui basta uno sguardo per raggelare. La regista Chloe Domont è al suo debutto nella direzione di un lungometraggio, ma si è fatta le ossa tra cortometraggi ed episodi di serie tv.
Il film è stato presentato al Sundance 2023 e, vista la buona accoglienza ricevuta, è stato acquistato per 20 milioni di dollari da Netflix che lo ha distribuito sulla sua piattaforma a partire dal 13 ottobre 2023 classificandolo, impropriamente, come “thriller erotico”.