The Holdovers-Lezioni di vita, recensione di Luca Baroncini (n°269)
di Alexander Payne
con Paul Giamatti, Dominic Sessa, Da'Vine Joy Randolph, Carrie Preston, Tate Donovan
Dopo il passo falso di “Downsizing – Vivere alla grande”, Alexander Payne torna a ciò che gli è più congeniale, la commedia dolceamara, dove una quotidianità poco appariscente incontra pulsioni e dinamiche umanissime e non per forza edificanti.
L’insegnante di lettere classiche Paul Hunham potrebbe essere un lontano parente del Warren Schmidt che va in pensione in “A proposito di Schmidt”, uno dei maggiori successi di Payne. Nonostante il cambio di epoca (qui siamo nel 1970), si tratta infatti di un uomo altrettanto gretto che ha sempre vissuto in nome di una placida apparenza, concentrandosi sul lavoro e dando poco spazio agli altri, ma anche alle proprie gratificazioni personali. Non è per niente amato dai suoi studenti della Barton Academy, una scuola privata del New England per rampolli ricchi e viziati, e quando gli viene assegnato il compito di supervisionare quelli che non torneranno a casa per le vacanze di Natale, i cinque sfortunati non gioiranno.
Quando poi quattro troveranno una valida alternativa e a scuola resterà un solo studente, tra lui e il professore l’iniziale diffidenza evolverà in un legame per forza di cose sempre più profondo, anche solo per l’inevitabile frequentazione. Un legame che cambierà molte cose in entrambi, non trasformandosi mai in vera e propria amicizia, ma evolvendo in una sorta di stima reciproca. Impareranno infatti a vedersi per quello che sono. Come sempre nel cinema di Payne non ci sono grandi eventi, ma una progressiva e ben impostata serie di turbolenze emotive e affettive che pungolano gradualmente il sentire dei personaggi smussandone gli angoli.
Il merito è anche di una sceneggiatura calibrata, dove l’incedere non cerca l’effetto ma la grazia. Sono come sempre le relazioni umane a interessare Payne che ha quindi modo di sondare i rapporti gerarchici, familiari e di amicizia, affrontando trasversalmente anche temi sempre brucianti come il razzismo e la politica (è il periodo del Vietnam e ad andare a morire in guerra sono quelli che non hanno agganci per evitarlo), ma senza che si senta il peso di una lezione da ricevere.
Paul Giamatti si conferma attore straordinario, del giovane Dominic Sessa continueremo a sentir parlare e Da'Vine Joy Randolph, la bidella/cuoca della scuola, è già in pole position nella stagione dei premi.
Completa il quadro l’atmosfera invernale del New England, con il suo gelo quasi tangibile, perfetto contraltare del freddo che abita inizialmente il cuore dei protagonisti. Il tutto messo in scena con garbo, ironia e senza quell’enfasi che fa gridare “oh!”.
E non è un male, anzi.
Nell’immediato può sembrare il classico film indipendente americano, carino, minimale e niente di più, ma il retrogusto lo premia.