La zona d’interesse, recensione di Luca Baroncini (n°270)
di Jonathan Glazer
con Sandra Hüller, Christian Friedel, Ralph Herforth, Max Beck
Jonathan Glazer è un regista di culto, punto di riferimento imprescindibile per l’estetica di videoclip e spot pubblicitari, mentre i pochi film che ha fatto non hanno lasciato particolare segno nell’immaginario, nonostante abbiano dettato regole a cui tutti si sono ispirati (per dire, l’oscurità liquida di “Stranger Things” viene da “Under the Skin”).
Nel nuovo film, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2023 e tra i maggiori contendenti nella stagione dei premi, mette liberamente in scena l’omonimo romanzo di Martin Amis, scrittore scomparso proprio durante i giorni di presentazione del film sulla Croisette.
L’originalità nel trattare il tema dell’Olocausto sta nell’adottare un punto di vista diverso dal solito, mostrando non il dentro, ma il fuori, non cioè quello che succede nel campo di concentramento di Auschwitz, ma il quotidiano che scorre incurante appena fuori, nella casa dal grande e curato giardino in cui vive il comandante della struttura con la sua famiglia (la moglie e i cinque figli). L’approccio indiretto ricorda quello di due celebri registi austriaci, Ulrich Seidl (essere immersi nell’orrore e non capirlo) e Michael Haneke (l’orrore è lasciato fuori campo), ma viene ammantato di personalità attraverso un rigore nella messa in scena in cui ogni dettaglio è sotto controllo grazie anche a un montaggio fluidissimo (gli attori sono stati ripresi contemporaneamente da dieci macchine da presa posizionate nella casa appositamente ricostruita, in modo da consentire libertà di movimento e differenti angolazioni). Il corto circuito deriva dall’assistere a una forzata normalità familiare mentre a due passi ogni dignità umana viene cancellata. A essere mostrato è il male nella sua essenza più banale, quella dell’indifferenza.
Punto di forza di Glazer sono da sempre gli effetti sonori che producono uno shock percettivo davvero forte. Mentre si compiono i riti del quotidiano, a pochi metri di distanza si consuma infatti una costante carneficina e ne sentiamo tutto lo strazio.
Un’opera davvero disturbante che arriva a colpire nel profondo e a cui si continua a pensare per giorni e giorni. Prologo ed epilogo virati al nero esplicitano l’orrore di cui siamo stati testimoni. Davvero da non perdere, ma meglio andarci preparati. A farci stare male, nel profondo, è quello che immaginiamo e che il film riesce a trasmetterci in tutta la sua agghiacciante assurdità.