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Categoria: Cinema
Creato Lunedì, 01 Aprile 2024

Marco CavalloKripton, recensione di Luca Baroncini (n°272)

documentario  di Francesco Munzi 

Francesco Munzi è un’anima divisa in due. In lui documentario e fiction procedono in costante contaminazione, a dimostrazione di come le etichette rischino, come sempre, di rivelarsi sintesi parziale e mai davvero rappresentativa. Sta di fatto che a dieci anni da “Anime nere”, il suo maggiore successo vincitore di nove David di Donatello, a sei dalla serie televisiva “Il miracolo” e a tre dal progetto documentaristico condiviso “Futura”, torna al documentario, anche se un po’ ibrido.

Con “Kripton” racconta i cento giorni trascorsi durante l’inverno del 2022 in due comunità psichiatriche pubbliche di Roma, in cui è entrato in contatto con alcuni ragazzi tra i venti e i trent’anni afflitti da disturbi della personalità e stati di alterazione psichica. Ragazzi che finiscono per diventare personaggi, in confini sempre più sottili tra realtà e sua rappresentazione, perché le tecniche di ripresa adottate dal regista, indagando sui dettagli di quei non attori così espressivi, sono in fondo quelle del cinema che amplifica per comunicare. Finiamo quindi per affezionarci ai sei personaggi (tre ragazzi e tre ragazze), ai problemi di integrazione in un mondo di cui non condividono le regole, a un approccio di cura che punta più sulla parola che sulle medicine, e si apprezza il rispetto del regista che non cerca soluzioni, non ha tesi da applicare, non vuole spiegare, ma si mette in ascolto e fa ciò che in un documentario è quello che si apprezza maggiormente: mostra ciò che è senza giudicarlo. 

Un attento lavoro di montaggio fa il resto, costruendo una narrazione che facilita l’empatia e la comprensione dando risalto non solo ai ragazzi ospiti delle strutture, ma anche ai loro parenti più vicini, a volte parti decisive di quadri familiari disfunzionali.

Il documentario mette in scena i ragazzi e il loro sentire, contestualizza il più possibile le loro vicende rendendone comprensibili le dinamiche e aggiunge suoni, musiche e materiale di repertorio che regalando suggestioni fanno da contrappunto, dando in qualche modo voce all’inconscio, dei personaggi ma anche nostro. 

A emergere è l’umanità di chi vive un periodo di difficoltà e prova a uscirne, questo interessa soprattutto a Munzi. 

Pur non volendo essere un’opera politica, ma soprattutto di osservazione della realtà, finisce però inevitabilmente per esserlo. Il sistema sanitario italiano, infatti, evocato nei titoli di coda dalle didascalie sulle cifre relative al disagio psichico nel nostro paese, appare sempre più distante dalle persone e dai problemi che le affliggono nel quotidiano.

 

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