Flow – Un mondo da salvare, recensione di Luca Baroncini (n°277)
di Gints Zilbalodis
Un cataclisma ha annientato l’uomo. Tracce della sua presenza ce ne sono, ad esempio nella bella casa in legno in cui un gatto nero va ogni sera a dormire, sul letto disfatto che probabilmente apparteneva al suo padrone, ma sono gli unici elementi di un mondo che sembra avere perso le sue coordinate abituali ed è tornato a essere popolato esclusivamente da animali.
Un’improvvisa alluvione toglie al gatto la comodità del suo giaciglio e lo costringe a vagare senza una meta precisa. Finirà in una barca, novella arca di Noè, insieme a un cane, un capibara, un lemure e una gru. Sarà l’unione delle forze a salvarli in più occasioni determinando la nascita di una piccola comunità all’insegna della diversità e della condivisione.
Il film racconta le iniziali titubanze e la progressiva complicità che si crea all’interno del piccolo ed eterogeneo gruppo per fronteggiare il presente, tra paesaggi lussureggianti, improvvisi pericoli, separazioni e riconciliazioni. Quella a cui assistiamo è una grande avventura con destinazione ignota dove ad accompagnarci è lo stupore. Si tratta di un bell’esempio di cinema di animazione lontano dal mainstream dei colossi U.S.A., è infatti firmato dal regista lettone Gints Zilbalodis, già distintosi con il precedente “Away”, che riesce a raccontare una storia tanto semplice quanto coinvolgente e in grado di rendersi trasversale per ogni generazione e latitudine.
Parte del merito deriva sicuramente dalla decisione di non antropomorfizzare gli animali che quindi non parlano ma restano animali, fedeli alle loro caratteristiche comportamentali e al loro linguaggio naturale fatto di versi. Una scelta estrema molto efficace perché rende il film più realistico e meno infantile, di sicuro più contemplativo, e anche più universale. Sono suoni della natura e silenzi i veri protagonisti e tutto ciò ha qualcosa di riconciliante e catartico.
L’aspetto visivo fa il resto, grazie a un dinamismo e a una stilizzazione dei tratti che non ambisce al fotorealismo ma all’evocazione, attraverso immagini potenti e personaggi che si stampano nella memoria.
Al Festival di Annecy, punto di riferimento imprescindibile per il settore dell’animazione, ha vinto quattro premi (quello della Giuria, del Pubblico, per la Distribuzione e per la musica originale) e ha ottenuto riscontri molto positivi anche al Festival di Cannes, dove è stato presentato nella sezione “Un Certain Regard”.