Il treno dei bambini, recensione di Luca Baroncini (n°280)
di Cristina Comencini
con Christian Cervone, Serena Rossi, Barbara Ronchi, Stefano Accorsi, Antonia Truppo, Francesco Di Leva
Ci sono storie talmente potenti che per metterle in scena basta assecondarne le svolte narrative con mestiere e sensibilità. È quello che accade con “Il treno dei bambini”, tratto dall’omonimo romanzo del 2019 di Viola Ardone, dove Cristina Comencini, sulle tracce del padre Luigi - uno dei fondatori della commedia all’italiana, per tutta la sua carriera cinematografica interessato a indagare il periodo dell’infanzia/adolescenza - racconta una storia che pare già una sceneggiatura perfetta, grazie al suo carico di scelte difficili, contrasti forti e opportunità miracolose.
Siamo nel secondo dopoguerra, nei Quartieri Spagnoli di Napoli si vive di stenti e la giovane Antonietta, donna sola con il marito andato a cercare fortuna in America, dopo la morte di un figlio decide di inviare l’altro di otto anni al nord con i “Treni della felicità”. Si tratta di un’iniziativa di solidarietà, nata dalla volontà di un gruppo di donne della Unione Donne Italiane (ora Unione donne in Italia) e promossa dal Partito Comunista, che prevedeva l’affidamento di bambini disagiati del sud a famiglie del settentrione per un periodo di tempo limitato.
Il piccolo Amerigo finisce così nel modenese dove troverà cibo, calore umano e qualcuno disposto a credere nelle sue capacità. La sua vita, sospesa tra l’affetto di due mamme molto diverse tra loro, cambierà per sempre. Una storia commovente, dove in campo ci sono sentimenti universali legati al significato più profondo dell’essere genitori, che ha il pregio di ricordarci parti della nostra Storia che rischiano di essere dimenticate, mostrando il grande potere della politica quando traduce idee e parole in gesti concreti.
Senza visioni a senso unico, cercando la complessità, dando risalto all’umanità dei personaggi e prediligendo la sintesi (basta uno schiaffo per far capire il contesto patriarcale in cui anche al nord si muovono i personaggi).
Un film che trova nella semplicità il suo punto di forza, perché non c’è bisogno di accentuare passaggi che sono già carichi di significato e pathos, occorre solo trovare l’approccio giusto per raccontarli mettendosi da parte, compito che Cristina Comencini svolge diligentemente.
Confezione accurata, dalla ricostruzione storica alle musiche di Nicola Piovani, e interpreti perfetti, in primis il giovanissimo Christian Cervone sulle cui giovani e magre spalle si regge tutto il film, ma anche Serena Rossi e Barbara Ronchi, madri in antitesi di cui si sondano le ragioni evitando l’attribuzione di facili etichette.
Prodotto da Palomar, ha saltato il passaggio in sala per essere distribuito direttamente in streaming su Netflix.