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Categoria: Cinema
Creato Sabato, 01 Marzo 2025

LA REGINA DELLE NEVI-Marion Cotillard - Foto di Luca BaronciniQuattro giorni alla Berlinale, di Luca Baroncini (n°281)  

I festival cinematografici sono un termometro della contemporaneità. La Berlinale un po’ di più, perché la consueta finestra sul mondo si affaccia, più di altri eventi simili, su tematiche politiche e sociali brucianti, da sempre fulcro della manifestazione. 

La nuova direzione artistica di Tricia Tuttle, chiamata a sostituire i precedenti Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek per dare una svolta mainstream alla manifestazione dopo la fuga di sponsor degli ultimi anni, non sembra per ora avere cambiato granché ed è tutto sommato un bene. Tra i vari, troppi, festival cinematografici che fungono da vetrine in cui si parla di tutto tranne che dei film presentati, fa infatti piacere trovarne uno che resta fedele alla sua anima combattiva e radicale, con il cinema perno centrale da cui tutto parte. Poi, diciamolo, nel programma di Berlino c’è sempre di tutto, non solo film impegnati, quello del rigore tematico è diventato un po’ un luogo comune, una facile etichetta che, anziché sintetizzare, semplifica. 

Personalmente è un festival che amo più di altri per due motivi, intanto è rivolto a un pubblico e non solo ad addetti ai lavori, media e a chi ha bisogno di una cornice prestigiosa e instagrammabile, inoltre rende centrale il percorso di ricerca. Alcune cose che si vedono a Berlino difficilmente si ha modo di vederle altrove e lo sguardo sul cinema è davvero a 360 gradi, dallo sperimentalismo più estremo (il raffinato Reflet dans un diamant mort di Hélène Cattet e Bruno Forzani che destruttura il genere action-mistery), al film per il grande pubblico (A Complete Unknown, con Timothée Chalamet nel ruolo di Bob Dylan, presentato in occasione dell’uscita del film in Germania).

In quattro giornate è ovviamente solo un assaggio quello che si fa, ma le visioni, al di là del bello o brutto che è un giudizio sempre riduttivo, si sono rivelate prima di tutto interessanti. Magari non si tratta sempre di film che consiglieresti a un amico per una seratina in compagnia, ma sicuramente chi ha voglia di uscire dal noto, ampliando sguardo e geografie, può trovare pane per i suoi denti. 

Nel viaggio offerto dal festival sono emerse allegorie più o meno velate della contemporaneità, dal farsesco e attesissimo Mickey 17 di Bong Joon Ho - regista del celebrato “Parasite”, in cui in un futuro non troppo lontano un uomo, viste le poche opportunità, accetta di rendersi “sacrificabile”, rassegnandosi a morire e rinascere ogni volta grazie alla tecnologia, in modo da poter poi essere impiegato in missioni espansionistiche pericolose - al provocatorio Dreams di Michel Franco, in cui Jessica Chastain, ereditiera milionaria, si innamora perdutamente di un clandestino messicano dal grande talento artistico, senza però riuscire a vivere il rapporto di coppia alla luce del sole. Nel brasiliano O último azul di Gabriel Mascaro emergono invece problemi sociali come quello dell’invecchiamento della popolazione globale e si ipotizza che allo scoccare dei 75 anni il governo imponga il confino in colonie dove essere accuditi, in modo da non gravare sui familiari che possono così continuare a essere produttivi. Affronta di petto tematiche brucianti anche l’intenso Heldin di Petra Volpe, in cui assistiamo allo sfiancante turno di notte di un’infermiera in un ospedale svizzero, dove la carenza di personale e il moltiplicarsi delle emergenze rendono l’esperienza emotivamente forte e anche a rischio di errore. In una società che sembra volerci perfetti, forti e con le idee chiare su tutto,  è una boccata di ossigeno Ari, di Léonor Serraille, scavo di un personaggio maschile fragile e insicuro, incapace di affrontare le tappe sociali che il sentire comune sembra imporre. La sua controparte femminile, in versione però molto più disturbata, è la Rose Byrne protagonista di If I Had Legs I'd Kick You, di Mary Bronstein, che non vive uno dei suoi periodi migliori: ha una figlia piccola ammalata che richiede assistenza costante, un ex marito assente, una paziente (è una terapeuta) che scompare lasciandole il figlio appena nato in studio e il soffitto della casa che sprofonda per una fuga d’acqua. Nella sua visione stressatissima, che diventa anche la nostra perché il film assume il suo punto di vista, realtà e percepito cominciano a confondersi arrivando a destabilizzare.

Smaschera invece il perbenismo di facciata delle relazioni affettive e umane il tedesco Was Marielle Weiss, di Frédéric Hambalek, in cui la figlia di una coppia sviluppa un potere telepatico che le consente di sentire sempre quello che i genitori dicono, anche quando non sono con lei, generando una divertente e pungente commedia degli equivoci. Neanche le fiabe, poi, sono fonte di rassicurazione. In La Tour de Glace, di Lucile Hadžihalilović, viene rivisitata con personalità la “La regina delle nevi” di Hans Christian Andersen attraverso il gioco di seduzione che si crea tra un’attrice enigmatica e dal grande carisma che sta girando una trasposizione della fiaba, interpretata da Marion Cotillard, e la giovane Jeanne in fuga da un orfanotrofio per cercare, come tutti, il proprio posto nel mondo. Un film di grande atmosfera, forse troppa, per un originale percorso di formazione. 

A questo punto la speranza è che questi film, come anche gli altri presentati al festival, abbiano modo di arrivare ed essere visti anche dal pubblico, vero banco di prova per qualunque opera cinematografica. 

Ricordiamocelo quando, scorrendo i titoli in programmazione per decidere cosa vedere al cinema, anziché scegliere un film di cui sappiamo poco o nulla, andremo a vedere il nuovo capitolo dell’ennesima saga acchiappapubblico a cui proprio non siamo in grado di resistere. Nulla contro le saghe acchiappapubblico, un po’ critico se sono l’unico richiamo cinematografico a cui cediamo. Ma questa è un’altra storia! Viva Berlino e viva il cinema, tutto, dal mainstream a quello meno omologato!

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