Cinema
Quattro giorni alla Berlinale 2018, di Luca Baroncini (n°210)
Il modo migliore per approcciarsi alla Berlinale è azzerare le aspettative e lasciarsi andare al flusso. Consiglio che vale per qualunque festival e qualunque visione cinematografica ma che per la manifestazione tedesca è ancora più importante. Se, infatti, a Cannes e Venezia ci si aspetta di vedere i film che si fronteggeranno nella stagione dei premi che si concluderà con l’attribuzione degli Oscar, e questo volente o nolente finisce per condizionare anche i cuori più puri, a Berlino c’è maggiore libertà e voglia di sperimentare, non solo nelle sezioni collaterali ma anche nel concorso.
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Quello che non so di lei, recensione di Luca Baroncini (n°210)
di Roman Polanski
con Emmanuelle Seigner, Eva Green, Vincent Perez
Roman Polanski continua a riflettere sul rapporto tra verità e finzione, da sempre alla base del suo sguardo cinematografico. Questa volta, trasponendo il romanzo “Da una storia vera” di Delphine de Vigan, mette in scena una scrittrice in crisi creativa, la tormentata Delphine, reduce da un grande successo incentrato sulla figura di sua madre e vittima di uno stalker epistolare che la accusa di avere diffamato la propria famiglia.
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C’est la vie – Prendila come viene, recensione di Luca Baroncini (n°209)
di Olivier Nakache ed Eric Toledano
con Jean-Pierre Bacri, Jean-Paul Rouve, Gilles Lellouche, Vincent Macaigne, Eye Haidara, Suzanne Clément
Se al cinema si chiede principalmente di mettere la propria vita tra parentesi, o anche solo di passare un paio d’ore spensierate senza azzerare per forza il cervello, il francese “C’est la vie” può rivelarsi un’ottima scelta. I due registi Olivier Nakache ed Eric Toledano, infatti, noti al pubblico per il successo straordinario di “Quasi amici”, costruiscono una vera e propria girandola di situazioni esilaranti a cui è impossibile resistere.
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Stronger, recensione di Luca Baroncini (n°209)
di David Gordon Green
con Jake Gyllenhaal, Tatiana Maslany, Clancy Brown, Frankie Shaw, Miranda Richardson
L’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile 2013, in cui l’esplosione di due ordigni piazzati vicino al traguardo causò la morte di tre persone e il ferimento di altre 264, è già stato portato sullo schermo da Peter Berg nel thriller “Boston”, incentrato sulla conseguente caccia all’uomo.
Star Wars: Gli ultimi Jedi, recensione di Domenico Secondulfo (n°208)
Confesso subito di avere visto tutti i film della serie appena usciti, quindi anche il primo, e questo per fare subito outing come “nostalgico” della serie. Detto questo, due parole sull’ultimo rampollo, il secondo (terzo se ci mettiamo Rogue One), se ben ricordo, della “era Disney” che, mi pare chiaro, non mi sta particolarmente simpatica.
Ma veniamo al film. Innanzitutto un film sessista, tutti i buoni sono femmine e tutti i cattivi maschi, e questo rispolverando alcuni luoghi comuni maschilisti degli anni ’50 e ’60, qui al femminile, in stile capitani coraggiosi e duri eroi, una scelta squallida e sessista da parte della nuova produzione che tenta di agganciare commercialmente il minimo comun denominatore, a suo parere, di questi ultimi tempi in tema di “guerra dei sessi”. Del resto la Disney, sin dalla sua nascita, non ha certo brillato per equilibrio e indipendenza, basti ricordare cosa faceva il suo fondatore Walt, spia per l’Fbi ai tempi del Maccartismo (cfr. Repubblica, 7.5.93). Quindi sul piano politico-culturale un triste appiattimento sia nei contenuti che nelle forme narrative.
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Ella & John, recensione di Luca Baroncini (n°208)
di Paolo Virzì
con Helen Mirren e Donald Sutherland
Paolo Virzì in trasferta americana ripropone, con la complicità di Stephen Amidon, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo in sede di scrittura, una strana coppia on the road.
Non distaccandosi troppo dal modello Micaela Ramazzotti /Valeria Bruni Tedeschi de “La pazza gioia”, il regista livornese imbastisce un racconto su un marito e una moglie in fuga, non da un ospedale psichiatrico, ma da un destino avverso e ormai segnato che li vorrebbe in casa di riposo o in ospedale. Lei è infatti malata di tumore e lui di demenza senile. Il film abbraccia in pieno il genere “malattia incurabile” e cerca, e trova, lacrime facili.
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C’era una volta il cinema italiano, di Luca Baroncini (n°208)
Titolo provocatorio che rimarca il bisogno del nostro cinema di ritrovare un contatto con il pubblico. Se, infatti, togliamo il fenomeno Checco Zalone e il grandissimo successo del riuscito “Perfetti sconosciuti”, che però sono del 2016, il 2017 ha portato solo due titoli a superare i 10 milioni di euro: L’ora legale di Ficarra & Picone e Mister Felicità di Alessandro Siani. Il calo di interesse nei confronti del prodotto nazionale è evidente analizzando la quota di mercato del cinema italiano che è passata dal 28,85% del 2016 al 17,02% del 2017 (dati aggiornati al 17 dicembre 2017).
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Suburbicon, recensione di Luca Baroncini (n°207)
di George Clooney
con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Glenn Fleshler, Oscar Isaac
A Suburbicon le villette sono a schiera, gli uomini vanno al lavoro mentre le donne puliscono la casa, accudiscono i figli e attendono il marito con la cena fumante e il sorriso sempre pronto. Del resto siamo nel 1959 e questo è il modello che l’America sta cercando di vendere al mondo. I fratelli Coen, però, da sempre si divertono, e il più delle volte divertono, a smontare questa apparente serenità attraverso il cinema. Nel loro sguardo tagliente dietro a ogni sorriso non si nasconde tanto una lacrima, come da ricetta Disney, quanto un coltello, molto affilato e pronto a squarciare ogni superficie per mostrare l’abisso che nasconde.
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Loveless, recensione di Luca Baroncini (n°207)
di Andrey Zvyagintsev
con Maryana Spivak, Aleksey Rozin, Varvara Shmykova, Matvey Novikov
Un uomo. Una donna. Un bambino di dodici anni. La Russia. Sono questi gli elementi del film durissimo di Andrey Zvyagintsev, Leone d’Oro a Venezia nel 2003 per il potente “Il ritorno” e da allora sempre presente nei maggiori festival internazionali. E potente lo è anche la nuova opera che mette in scena due figure genitoriali mostruose nell’avere perso ogni ragionevolezza concentrandosi unicamente su se stessi.
Human Flow, recensione di Luca Baroncini (n°206)
di Ai Weiwei
Ai Weiwei è artista, designer e attivista cinese di fama mondiale. Ora anche regista. Monumentale e davvero ardua la sfida che raccoglie: dare visibilità al flusso migratorio globale mostrandolo in un documentario girato intorno al mondo attraverso 23 paesi (tra cui Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia).
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Metti una sera…. dopo cena, di Luca Baroncini (n°206)
Esisteva un tempo in cui prima di guardare un film in casa con gli amici occorreva passare dal videonoleggio di fiducia. I più spericolati proponevano imbarazzanti videocassette pirata con il titolo del momento che offrivano una visione quasi sempre pessima. Con l’evolvere dei tempi la tecnologia ha cambiato il mezzo ma non il fine, cioè gustarsi un film in compagnia.
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Robert Doisneau. La lente delle meraviglie, recensione di Irene Carrubba e Eugen Galasso (n°206)
(“Le révolté du merveilleux”)
Documentario di Clémentine Deroudille
Robert Doisneau (1912-1994) è uno dei grandi fotografi del Novecento. La sua arte racconta la realtà, non certo pretendendo di rappresentarla nella sua oggettività, ma come appare, prediligendo bambini, innamorati, periferie, dedicando un book ai tatuati (quando erano decisamente una rarità). Era un litografo con la passione della fotografia, che riuscì ad essere per tutta la vita fotografo professionista.
Nico, 1988, recensione di Luca Baroncini (n°205)
di Susanna Nicchiarelli
con Trine Dyrholm, Anamaria Marinca, Fabrizio Rongione, Sandor Funtek II, Karina Fernandez
La tedesca Christa Päffgen, in arte Nico, è stata modella dalla bellezza leggendaria, musa di Andy Warhol e vocalist dei Velvet Underground.
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Ammore e malavita, recensione di Luca Baroncini (n°205)
di Antonio e Marco Manetti
con Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso, Raiz, Franco Ricciardi
Marco e Antonio Manetti (in arte Manetti Bros.) sono maestri di un cinema artigianale dove delle necessità, la mancanza di mezzi adeguati, si fa il più delle volte virtù, grazie a creatività, entusiasmo e fantasia.
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