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Categoria: Libri
Creato Domenica, 01 Maggio 2016

 pimpì e OselìPimpì Oselì, recensione di Rino Ermini (n°190)

 Autore: Elena Gianini Belotti

 Editore: Feltrinelli

 Luogo di edizione: Milano

Anno: 1996

Pagine: 219

Di origini bergamasche Elena Gianini Belotti nacque a Roma nel 1929. In questa città ha diretto dal 1960 al 1980 il Centro Nascite Montessori.

Ha insegnato a lungo in un istituto professionale statale per assistenti all’infanzia. Scrittrice, saggista e giornalista, annovera fra i suoi lavori due libri divenuti classici e irrinunciabili: “Dalla parte delle bambine” (1973) e “Prima le donne e i bambini” (1980).

“Pimpì Oselì” credo sia stato pubblicato per la prima volta nel 1995. È un libro strano, di primo acchito duro e angosciante, catastrofico, drammatico. Quel che vi è descritto è molto realistico: sappiamo che il vivere in Italia nella prima metà del Novecento, almeno per le classi subalterne, era in gran parte così e forse anche peggio. Stilisticamente a me appare non del tutto convincente, ma direi che questa cosa non ha importanza, non solo perché viene dal sottoscritto. Proviamo per sommi capi a dare conto della storia narrata. Siamo negli anni ’30. Una madre maestra, sposata a Roma, ma proveniente dalla provincia di Bergamo, e due bambini di sei anni, Gianni e Cecilia, sono alla stazione di Milano. Vengono appunto da Roma e devono prendere un treno per andare in val Seriana, dove la madre dovrà insegnare. Vanno in un paesino dove a fatica e con pericolo arriva una corriera. La madre è al suo secondo anno di insegnamento. Il primo l’aveva fatto da sola lasciando i bambini a Roma col marito. Marito disoccupato. Ecco perché la madre, diplomata maestra, aveva deciso di mettersi a insegnare. Il padre sa fare bene il padre: affettuoso, cordiale, svolge con decoro anche le faccende di casa. Lui e i bambini stanno bene insieme. Ma per il secondo anno della sua assenza da casa, la madre decide di portare con sé i figli perché se no la gente mormora e perché il marito non ha polso nell’educarli. La madre è donna che ha sofferto molto da bambina, è insoddisfatta, autoritaria, manesca, scatena sensi di colpa, intimidisce i propri figli, ha impostato la vita su una miriade di regole, sulla religione e, si potrebbe dire, sull’assenza del sorriso. Insomma è una persona difficile, per sé e per i figli. Il suo sogno è che la figlia si faccia suora, per attirare sulla casa la benedizione del Signore. I bambini vanno a scuola dove la madre insegna, scolari però di una sua collega, Margherita.

Margherita è una maestra classica, normale, mi viene da dire di routine, giovane, bigotta quanto basta, fascista, nubile, si sposerà fra poco, tiene a portata di mano la foto del fidanzato. Maestra normale vuol dire che così devono essere state al tempo del fascismo quasi tutte le maestre. Margherita a un certo punto va ad abitare con i due bambini e la loro madre per dividere le spese, e dormirà in camera con Cecilia. Nel paese dove stanno sono quasi tutti contadini. I bambini del posto sono spesso affetti da malanni e deformazioni gravi per povertà. Dio e il prete sono onnipresenti. E la morte. C’è anche un medico mangiapreti, che se non vale proprio il massimo come medico, saprebbe però che cosa si dovrebbe fare, ma è impotente, non è amato e non si fa amare. La scuola, la vita, i fatti, sono narrati dal punto di vista della bambina, di Cecilia. Le vacanze estive, con i rapporti fra madre e figli che vanno peggiorando a causa della insoddisfazione della madre e delle sue difficoltà, le fanno a Roma, in una borgata, dove la famiglia finisce con l’andare a vivere per povertà, e dove peggiorano anche i rapporti della donna col marito. Della borgata c’è tutto: gli inurbati dalle campagne, la disoccupazione, la violenza, la miseria, la sporcizia. Nel secondo anno scolastico che i bambini al seguito della madre trascorrono nel paese della val Seriana, ecco che al posto di Margherita arriva un maestro: camicia nera, fez e stivali tirati a specchio, ha come strumento pedagogico un lungo righello di cui si serve per picchiare; è violento oltre ogni dire; i suoi contenuti sono quelli delle marce, degli ordini e dell’ordine da caserma; non può non essere ignorante. Gianni viene preso di mira da questo energumeno e rischia di essere psicologicamente rovinato. Durante la seconda vacanza estiva, i due bambini vengono lasciati dalla madre maestra in custodia a una sorella, perché imparino la durezza della vita e perciò divengano più buoni e pronti al futuro; una sorella che ha sposato un contadino della zona, violento, ubriacone, rozzo. Questa donna e i suoi numerosi figli, anch’essi vittime del padre, lavorano peggio delle bestie e vivono in miseria. Situazione terribile. Situazione allucinante che va ad aggiungersi al resto della storia, la quale termina con l’arrivo in paese, e siamo alla fine del terzo anno di scuola per i due bambini, di un prete pedofilo e degli echi in sottofondo dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista.

È un libro che ci narra di una realtà, in essa compresa la componente scolastica, che fu senza alcun dubbio diffusa in quegli anni, anche se non l’unica. Lo abbiamo già detto. Una realtà che viene descritta non solo attraverso la narrazione dei fatti ma facendo muovere una notevole quantità di personaggi ben caratterizzati, vividi, veri, che la compongono e la rendono chiara, completa, a tutto tondo. In questa realtà i colori prevalenti sono quelli della povertà e dell’ignoranza, del fascismo in sottofondo e anche in primo piano e della chiesa onnipresente, dell’autoritarismo e della grettezza. Non mancano fra tanta tragedia spunti di riso amaro, grazie a Cecilia e al suo particolare punto di vista di bambina, alle sue domande e perplessità, spesso a seguito di un linguaggio che gli adulti usano senza preoccuparsi di vedere se i bambini lo capiscono. Roma sta sui colli fatali. Che vuol dire fatali? E come fa Roma, così grande e pesante, a stare sui colli delle persone? Il Vicario, cioè il prete, ha solo le mutande o anche “ol buso del cul”? E scoreggia anche? E dov’era l’angelo custode quando un maiale ha mangiato una mano a una compagna di scuola? Anche lei, Cecilia, sa di avere un angelo custode, che però non si fa mai vedere, tanto meno quando sarebbe necessario.

Sembra che questo libro ve l’abbia raccontato. Fate però attenzione perché io l’avevo letto molti anni fa e con questa scusa ora l’ho riletto un po’ velocemente, direi quasi distrattamente. È probabile che, da come ve l’ho raccontato, non capiate molto. È perciò inevitabile che dobbiate leggerlo in prima persona.

 

 

 

 

 

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