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Categoria: Libri
Creato Venerdì, 01 Settembre 2017

Copertina del libro La ProfeLa Profe

Diario di un’insegnante con gli anfibi, recensione di Rino Ermini (n°204)

Autrice: Antonella Landi

Editore:Mondadori

Luogo di edizione: Milano

Anno: 2007

Pagine: 213

Antonella Landi è nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo), nel 1966, “nell’anno dell’alluvione”. Vive e insegna a Firenze.

Inseriamo questo suo lavoro nella rubrica “libri di scuola” non perché ella sia nata e cresciuta dalle mie parti, e precisamente nella cittadina che dette i natali anche a pittori del calibro di Masaccio, Giovanni di Ser Giovanni detto “lo Scheggia” (fratello di Masaccio), Masolino da Panicale e Giovanni da San Giovanni, ma semplicemente perché quel che ho letto di suo è senza dubbio degno di essere preso in considerazione.

Perché “insegnante con gli anfibi”? Non lo so e non credo sia lì il nocciolo della questione. Sarà un po’ punk, o un po’ sul giovanile, o seguirà un suo estro particolare. Di certo penso che non porti gli anfibi perché voleva entrare nell’esercito, visto anche che da qualche parte dichiara la propria avversione alla violenza e alla guerra. Circa altre note biografiche, ha insegnato a lungo come precaria in scuole superiori, è entrata in ruolo alle medie inferiori e ora è di nuovo alle superiori. Cura un proprio blog e scrive sul Corriere fiorentino. A proposito: “profe” non è un errore, è così e non prof che si dice a Firenze.

Libro divertente. Non poteva non esserlo, dal momento che dalla prima all’ultima pagina questa insegnante dice e fa sentire concretamente che il proprio mestiere lo ha scelto, lo fa volentieri, le piace, si diverte. E se una scrive un libro parlando del proprio mestiere che le piace e la diverte come faceva a non venire fuori un libro così, tanto più se scritto da una nata a San Giovanni Valdarno, cioè in una zona a metà strada fra Firenze e Arezzo dove fin dai tempi dei tempi campano a pane, ironia e sarcasmo.

Quando lo leggerete, qualcuno penserà che ve l’ho proposto perché siccome anch’io vado continuamente dicendo che il mio mestiere di insegnante l’ho fatto per scelta, volentieri e mi sono anche divertito, mi sono lasciato ammaliare e non ci ho visto più: accecato da quel che volevo scrivere io e non ho saputo scriverlo mi metto a far le lodi della professoressa Landi. Qualcun altro osserverà “accecato anche dall’invidia”. Potrebbe essere. Però diciamolo: se uno è accecato dall’invidia nei confronti di chi ha scritto un bel libro che a lui non è riuscito, anzi nemmeno ci ha pensato, non è che poi si spertica in lodi, e se mai ne dovesse parlar bene ne parlerebbe a denti stretti.

Continuo a menare il can per l’aia non perché, come disse una mia studentessa, “ci ho provato col gatto e non c’è stato verso di fargli fare un passo”, ma perché è probabile che il libro non si possa fotografare, analizzare o puntargli contro anche un solo ditino. Siamo più chiari: almeno a me non mi riesce. Bisogna leggerlo. Ecco fatto: leggetelo.

Io l’ho letto e riletto. Ho anche preso degli appunti. E poi li ho cestinati perché mi veniva uno scritto di cinque pagine. Ho provato a citarne i passi più significativi. Peggio che andar di notte: era come ricopiare l’intero testo e di non significativo rimanevano le briciole e forse nulla. Allora taglio corto, sono arrivato alla conclusione di ricopiare pari pari una simpatica pagina sull’opportunità, per una o un insegnante che vogliano lavorare bene in classe, di fare sesso di frequente e con passione; una cosa su cui, facendo salve per rispetto le dovute eccezioni, concordo pienamente e che estenderei a numerosi altri lavori, che siano almeno potenzialmente nobili lavori, s’intende, altrimenti che fai, scopi bene per scendere ogni giorno in miniera o fare il boia o il secondino o lo speculatore in finanza?

Ecco il pezzo che dovrebbe menarvi a cercare il libro e farvelo leggere da cima a fondo. “Ora, senza nulla togliere alla validità dell’autoerotismo che, come si sa grazie ai passi da gigante compiuti dalla scienza, tutto fa fuorché accecare la gente, volete mettere il beneficio che è possibile trarre da una sana notte di sesso in compagnia? Io dico notte, ma va benissimo anche il giorno, magari proprio il primo pomeriggio subito dopo pranzo, appena tornati da scuola. O la mattina presto, prima di andarci, meglio ancora. Volete mettere l’aspetto appagato che vi si dipingerebbe sul volto se aveste soddisfatto le vostre sacrosante esigenze carnali e, parlando in classe di matematica, filosofia, fisica e finanche religione, voi ripensaste, in codesta mente atrofizzata più dell’organo sessuale che avete tra le gambe, alle poppe della vostra donna, alle (s)palle del vostro uomo e a tutte quelle inenarrabili delizie già celebrate dagli antichi in tutte le lingue? Colleghi, avvicinatevi, intendo svelarvi il segreto che immagino conosciate benissimo, ma che vedo fingete d’ignorare: i ragazzi individuano con un’occhiata distratta chi di noi si mantiene sessualmente attivo e chi di noi non batte chiodo da vent’anni. Datemi retta: è così. Anche i più giovani, anche i più ingenui, anche i più vergini. Se ne accorgono. [...] Se non li guardiamo mai in fondo agli occhi, se non ci lasciamo mai andare all’ironia, se cerchiamo di essere autoritari a tutti i costi, essi faranno uno più uno e sentenzieranno: questo non scopa da una vita. Tenteremo di recuperarlo con comportamenti forti, ma sarà inutile, come credere di averla vinta con l’autorità piuttosto che con l’autorevolezza. Per essere autorevoli, bisogna fare all’amore. Perché l’autoritario è acido e incattivito, l’autorevole salvaguarda e protegge comunque la propria innata dolcezza. Sa che, come nel coito, per far funzionare le cose non occorre gridare, avere furia e imporsi con le cattive. Basta ascoltare le esigenze di chi ci è accanto, prenderlo con le buone. Se al vostro partner il rapporto orale non piace, perché gli volete fare per forza un lavorino di quelli? Stessa cosa a scuola: se ai vostri studenti una determinata corrente letteraria non garba, un preciso autore suscita il tedio o l’orrore, ovvìa, accorciàtelo, tagliàtelo (metto gli accenti, non si sa mai). […] Il sesso rende duttili, ammorbidisce, addolcisce. Smussa il nostro spigoloso carattere, illumina le nostre esistenze, dà un senso alla nostra levataccia quotidiana” (pagine 38-39).

Non è che in tutto il libro si parli di sesso. Anzi, se si tolgono queste due pagine e qualche leggera allusione in qua e in là, i temi sono altri. Ma il tono è questo. Appassionato, chiaro, diretto e divertente. E quel che si dice è vero, impossibile contestare. E i problemi affrontati, con leggerezza e senza annoiare, sono quasi tutti quelli che stanno in una scuola: dal puzzino al collega “modello Luggio”, dalla necessità di gettare i progetti alla professoressa ZittiniCalminieBbonini, dalla libridine a quattro salti in pagella, dalla profe agnostica scettica e di sinistra ai conflitti di classe, insomma non manca niente. Talmente niente che questo libro è un altro ottimo manuale di pedagogia. E d’amore. L’autrice pare avere poca simpatia per il matrimonio, ma non per l’amore. Assai poetico il capitolo sugli “amori a scuola”, quelli suoi di quand’era bambina e ragazzina e quelli dei suoi alunni e alunne. “Per la ragazza che si innamora a scuola, la scuola diventa all’improvviso un luogo favolistico: tutto è bello, anche i gabinetti, soprattutto quello dei maschi, perché ci piscia lui” (pagine 113-114). Un’ultima precisazione: non ho letto, per scelta, nemmeno una recensione, ma ormai mi conoscete. Quelle ve le cercate da soli.

Oltre a questo, la Landi di libri ne ha scritti almeno altri due, da leggersi anch’essi. Uno è “Storia parecchio alternativa della letteratura italiana”, Mondadori, 2008. Si tratta di una storia piuttosto esilarante e allo stesso tempo seria, così come a volte andrebbe raccontata per invogliare allo studio molti studenti (e per rendere la scuola meno noiosa e più proficua). L’autrice, se mi ricordo bene, precisa che non è propriamente quella la letteratura che insegna. Ma se anche fosse?

L’altro, “Tutta colpa dei genitori”, Mondadori, Milano, 2010, è appunto sui genitori. Contenuto “se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”. Genitori veri che lei avrà incontrato come chiunque abbia fatto o faccia l’insegnante. È un testo che non dovrebbe essere trascurato dai docenti. E nemmeno dai genitori che eventualmente pensassero di sapere già tutto su se stessi, o di sapere sempre che cosa si deve fare o, all’opposto, non saperlo mai.

Questi due e quello cui ho accennato prima, se fossi ancora in cattedra li metterei nella lista dei libri che davo ogni anno ai miei studenti e alle mie studentesse come guida per la lettura. Era una guida da consultare e utilizzare, non obbligatoria, ma rispetto a questi tre forse proverei a fare uno strappo alla regola e, brutta parola, imporli; se non altro perché ragazze e ragazzi potessero rendersi conto di un modo di insegnare e vedere la scuola diverso dall’ordinario. E provare a parlarne, fra di sé e con i propri docenti, e soprattutto, anche un pochino alla volta, provare a metterlo in pratica.

 

 

 

 

 

 

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