Democrazia e anarchia. Il potere nella polis, recensione di Gennaro Gadaleta Caldarola (n°272)
di Donatella Di Cesare
Einaudi, 2024
L’autrice non ha bisogno di presentazioni, sottolineo la sua vasta cultura e la complessità del suo pensiero che lo rende difficile da trasmettere e impossibile da sintetizzare, non esiste pertanto alternativa alla lettura del libro. Proverò a descrivere la novità e la originalità di questo testo ovviamente dal mio punto di vista.
Prima di tutto prende in esame la democrazia ateniese utilizzando tutte le fonti possibili e sostiene che agli albori dell’esperimento democratico ateniese non ci fu affatto il sorgere pacifico della democrazia rappresentativa così come oggi comunemente si ritiene e che invece fu un periodo decisamente conflittuale.
Si sviluppò, tra il 500 e il 400 avanti Cristo in Atene ed in altre città della civiltà greca, il dibattito su come regolare i processi politici di gestione della società. Questo dibattito nasceva dalla scelta popolare di voler cambiare i sistemi autoritari o oligarchici delle precedenti esperienze politiche e si sviluppò in una cultura priva di concezioni religiose totalizzanti e aperto ad una stagione nuova. Riferisce l’autrice che il popolo in buona parte non voleva né governare né essere governato per cui si tentò di sviluppare processi politici democratici senza governanti o, se un governo per forza ci doveva essere, con governanti che erano sorteggiati ed erano tenuti alla rotazione delle cariche.
La democrazia anarchica (cioè senza autorità e senza nessuna leadership iniziale) impegnava tutti i cittadini alla partecipazione costante e alla discussione, che spesso assumeva toni vivaci. Da qui la costante “stasi”, termine greco che indica un conflitto violento dentro le città tra cittadini che avevano rinunciato alle appartenenze familiari ma non alle proprie idee e alla propria hybris (termine greco traducibile con orgogliosa tracotanza e ferma convinzione nelle proprie idee). A quanto pare la stasi era accettata, ammessa e considerata parte integrante di quel sistema politico, tanto che per un certo periodo diventò reato non schierarsi con uno dei contendenti durante il conflitto. A quanto pare la cosa non era gradita né ai filosofi né ai ricchi e con Pericle leader pian piano si arrivò a forme istituzionali democratiche nel senso moderno della parola e che si servirono di sistemi di controllo e di potere.
Il libro porta la storia greca a confrontarsi non solo con l’attuale crisi della democrazia ma anche con i principi dell’anarchismo. Propone una concezione anarchica della democrazia con cariche a rotazione e sorteggio, fortemente partecipativa, una democrazia radicale in perenne equilibrio fra conflitto (stasi) e ricomposizione delle differenze in alternativa alla deriva autoritaria in atto.
Questa sinossi non rende ragione né della complessità del problema né degli innumerevoli spunti di riflessione che la lettura del libro offre, serve solo per far conoscere un libro che, pur essendo filosofico, non è mai ostico anche se è complesso ed è straordinariamente attuale. Il sovranismo e le dittature sono frutto anche (e soprattutto?) della rinuncia dei cittadini a prendersi cura della società in cui si vive e a gestire le differenze di opinione.
Meglio la hybris però che l’apatia.