Valerio Evangelisti, Gli sbirri alla lanterna, recensione di Luciano Nicolini (n°65)
Avrei dovuto recensirlo quattordici anni fa, quando è uscito; ma Cenerentola, ahimè, ancora non esisteva. Adesso, però, che la rivista è in tutte le edicole di Bologna, mi sembra opportuno segnalarlo, e non solo ai Bolognesi.
Valerio Evangelisti, basandosi su una rigorosa documentazione archivistica, ma mettendo in mostra anche le sue notevoli doti di narratore, ci parla della “plebe giacobina bolognese dall’anno I all’anno V (1792-1797)”.
«E’ convinzione corrente – scrive – che la discesa in Italia delle truppe di Napoleone e la nascita di un “giacobinismo” locale suscitassero l’adesione di ambiti limitati di intellettuali e di settori della borghesia, mentre la plebe avrebbe adottato un atteggiamento passivo, se non ostile.
Almeno nel caso di Bologna tale convinzione non è aderente alla realtà dei fatti: la città vide infatti prolificare un “giacobinismo” sanguigno e popolare, che sui bisogni egualitari della plebe e sulle sue istanze di partecipazione riuscì a far leva».
Come potè accadere? Evangelisti, nel sottolineare la discontinuità creata dagli eventi che hanno accompagnato la rivoluzione francese, tenta di dare risposta a tale quesito.
Nessuno più di me è convinto (anche per tradizione familiare) dell’importanza fondamentale che le idee portate dalla rivoluzione francese hanno avuto nella storia dell’umanità. In questo caso ritengo, tuttavia, che alla discontinuità rilevabile limitandosi ad analizzare la storia degli ultimi secoli, si affianchi una continuità di più lunga durata, che collega i nuovi comportamenti della “plebe” bolognese con qualcosa di molto più antico, risalente (perlomeno) all’epoca dei liberi comuni.
Ma qui il discorso si farebbe più antropologico che storico...