Scuola: la selezione, di Rino Ermini (n°201)
Venerdì 13 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera a 8 dei 9 decreti attuativi della cosiddetta “buona scuola”, ossia legge 107 del 13 luglio 2015. In quell’occasione si è anche parlato della selezione e pare che un ministro ne abbia proposto la pura e semplice abolizione almeno alle elementari.
La richiesta è stata respinta con le seguenti motivazioni: 1) tanto alle elementari non si boccia quasi più; 2) c’è sempre qualcuno che comunque si merita la bocciatura. Due motivazioni invero alquanto deboli cui è fin troppo facile ribattere: 1) se non si boccia praticamente più allora perché non abolirla? 2) l’esperienza, insigni pedagogisti, insegnanti, e perfino l’OCSE ci dicono che bocciare non serve perché tanto il bocciato non solo non recupera, ma in genere, a seguito della bocciatura, aggrava i propri problemi.
La realtà è che la selezione, sempre stata funzionale a una scuola di classe, oggi lo è pure per una scuola neoliberista, basata su privatizzazione, mercato e un presunto merito che è solo demagogia e fumo negli occhi dietro cui si celano ingiustizie e privilegi.
Ora siamo a maggio, l’anno scolastico volge al termine e nelle scuole corre il tempo frenetico delle verifiche, scritte ed orali, necessarie per i docenti a presentarsi agli scrutini col richiesto congruo numero di voti per ciascun studente, tanto da poter bocciare o promuovere “con la coscienza a posto”, che tradotto vuol dire con dati alla mano che chiudano la bocca in partenza a qualsiasi obiezione o ricorso amministrativo. Per gli studenti invece, rovescio della medaglia, siamo in quella fase in cui si deve fare di tutto per agguantare un misero mezzo punto in più che possa mettere al sicuro dalla stroncatura. Esiste insomma un clima da si salvi chi può. O meglio, ancora una volta, da mercato e da scuola perversa. Non c’è insomma quel clima, che almeno a me piacerebbe molto, indice di una scuola diversa, in cui un pacato e sereno ragionamento fra docenti e studenti circa il percorso fatto e i risultati raggiunti, individualmente e collettivamente, nel campo delle singole discipline come in quello umano e sociale, metta capo non a bocciature o promozioni, ma ad un serio bilancio su cui progettare il prossimo anno scolastico. Cosa questa che sarebbe molto più logica di ciò che si fa oggi, più bella, meno dispendiosa, meno traumatica e snervante per tutti e senza alcun dubbio anche più produttiva per la società nel suo complesso. Fatto salvo il settore scuola privata, come vedremo. Loro bocciano sempre meno, anzi quasi niente, ma vivono, oltre che del denaro distratto dai bilanci pubblici, anche delle bocciature nella scuola pubblica.
Chiuso l’anno e pubblicate le statistiche, si faranno i conti della selezione, che non è la semplice bocciatura del singolo studente, ma la conseguenza delle ripetute bocciature che portano all’abbandono del percorso scolastico, al respingimento fuori da esso: un fenomeno che nel nostro Paese ha livelli del tutto inaccettabili, ce lo dicono i numeri e a volte, guarda un po’, anche le autorità, nazionali e sovranazionali. È un problema che riguarda relativamente le elementari e le medie inferiori, ma coinvolge pesantemente le superiori, non tanto i classici o gli scientifici o le scuole dì élite, quanto gli istituti tecnici e soprattutto gli istituti professionali. E che riguarda, diciamolo subito, i figli (e le figlie) delle classi subalterne, se vogliamo ancora chiamarle così; o se non vogliamo chiamarle in questo modo riguarda i deboli, i poveri economicamente, socialmente e culturalmente, si potrebbe dire “gli ultimi”, prendendo a prestito il linguaggio dei preti. La selezione non riguarda certo i ricchi, i benestanti, i figli di quei milioni di famiglie che sono state vergognosamente beneficate dalla “crisi” e dal neoliberismo e che, anche quando incappassero nella “bocciatura”, non sono destinati all’abbandono, ma alle costose scuole private dove verranno accolti a braccia aperte e il corso di studi (il diploma) verrà loro garantito per censo. Ecco perché le scuole private ingrassano sulla selezione e sulle difficoltà di funzionamento della scuola pubblica (difficoltà dovute a tagli di bilancio e altri provvedimenti che hanno lo scopo evidente di distruggerla): perché raccattano quella utenza che, fallendo nella scuola pubblica ma potendo senza difficoltà mettere mano al portafoglio, attratta inoltre da bonus, facilitazioni, detrazioni, ecc., si sposta gradatamente alla privata. Interessante: come abbiamo accennato sopra, la selezione è sempre più bassa alle private, anzi è ormai quasi inesistente, in particolare da quando sono divenuti più blandi o sono stati cancellati i controlli statali in sede di esami finali. Ma questo è ovvio: siamo o non siamo nel mercato? Dove si paga, si vuole essere serviti; e dove si vuol essere pagati, bisogna dimostrare d’esser pronti a servire. La favola bella che nelle scuole private si studia di più e meglio è, per l’appunto, una favola, cui solo gli sciocchi e chi è in malafede possono ancora credere. Una volta dicevano che alla scuola privata non c’erano gli scioperi, cosa che per i benpensanti era grande pregio, ma oggi, purtroppo, nemmeno nella pubblica ci sono più. Qualcuno poi potrebbe farmi osservare che anche la scuola pubblica è sempre più costosa, e boccia. Già. È proprio così. Becchi e bastonati, per passare finanziamenti a chi è ricco, studia poco e male e si compra il diploma.
Lo scopo della scuola pubblica non dovrebbe essere selezionare (selezionare semmai è attività propria degli uffici arruolamento militari), ma includere e, con l’eliminazione della bocciatura, consentire a tutti la prosecuzione degli studi fino al raggiungimento di un titolo di studio che significhi risultati positivi sia per il singolo individuo sia per la società nel suo complesso. La scuola pubblica dovrebbe abolire la selezione non per “promuovere” tutti così, genericamente, indipendentemente dai percorsi fatti e dai risultati, ma sulla base di politiche didattiche improntate a metodologie e contenuti di alto valore, scevre da burocratismi, che abbiano lo scopo di consentire a ognuno, dalle elementari alle superiori, partendo dalle proprie caratteristiche individuali di base, di fare un percorso positivo che sia valutato alla fine non in riferimento a livelli standard, ma a sé stante sulla base dei progressi. Un modo di fare scuola che non dovrebbe perdere nessuno per strada, col risultato che alla società la scuola restituirebbe milioni di giovani ricchi di conoscenze, di maturità, di senso critico, di capacità di ragionamento, di sensibilità sociale, e nessuna disposizione alla sottomissione. L’esatto contrario di ora. Alla obiezione che spesso mi sono sentito fare dai miei colleghi che se non ci fossero progressi comunque bisognerebbe bocciare lo stesso, ho sempre risposto che, seppure così fosse, bocciature e selezione non sarebbero agli odierni livelli devastanti e demenziali; non solo, ma con una scuola impostata diversamente, sarei pronto a giurare che nessuno nel corso di un anno scolastico o di un ciclo di studi rimarrebbe al palo e non farebbe alcun progresso.
Questa scuola, che a tutti desse la certezza di crescere e non rimanere indietro, era la scuola che avremmo voluto in molti e per la quale ci siamo spesi, a partire da Don Milani e dalla scuola di Barbiana, ma potrei tranquillamente dire a partire da Francisco Ferrer fino ad oggi passando per Lamberto Borghi. Eccoli! Lo sapevo! Tutti a gridare che Don Milani è morto cinquant’anni fa e che era un millantatore. E Barbiana era un altro mondo. E il comunismo è finito. E il 1968 è passato. E poi chi mai sarebbero Ferrer e Borghi? Ma chissà perché tutte queste cose gli daranno così noia ai neoliberisti o, più semplicemente, a quelli che non riescono a concepire una scuola che non abbia le bocciature e la selezione. L’ho verificato centinaia di volte. In un collegio, in un consiglio di classe, gli nominavi don Milani o il ’68 o la necessità di non bocciare e una parte della platea, sia pure, magari, minoritaria, si incendiava. Potevi nominargli Socrate o Sant’Agostino, Il Critone, Platone o Machiavelli, Roussseau o Carlo Pisacane o Proudhon, e non succedeva niente, tutto filava liscio. Anche perché in genere non ne sapevano molto. Neanche di Don Milani o del comunismo o del 1968 o della selezione ne sapevano molto, ma se glieli nominavi si scatenava l’inferno: non esistevano, era un’epoca finita, non volevano sentirne parlare; e poi: solo i fannulloni rimangono indietro, la selezione non esiste più, chi ha voglia va avanti, e nemmeno le classi sociali esistono più, ora c’è la democrazia, tutti sullo stesso piano, oggi è il merito che conta. Ecco, appunto, ci risiamo col merito. E che il merito ce l’abbiano soprattutto coloro che vengono dalle classi abbienti, come la mettiamo?
Abbiamo già avuto modo di dirlo: la realtà era, ed è, che certe idee per cui ci siamo battuti e continuiamo a batterci non sono morte e cancellate una volta per tutte, e le donne e gli uomini che le hanno elaborate e anche tentato di metterle in pratica sono stati cosa concreta, non secoli fa ma nella storia recente. Sono idee su cui si basa il contrario del neoliberismo; e i neoliberisti e comunque chi nell’odierna società ci sguazza ne hanno paura perché non è detto che esse, dall’oggi al domani, non prendano il sopravvento, e il bel mondo in cui siamo ora non si polverizzi come un edificio di legno vecchio roso dai tarli. E la non selezione nella scuola pubblica sarebbe un pezzo importante del cammino verso una società e un mondo diversi e migliori, proprio perché metterebbe in crisi quella scuola che almeno in certi suoi aspetti è un elemento portante di una realtà sociale alquanto deleteria, devastante e devastata.