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Categoria: Scuola e università
Creato Domenica, 01 Ottobre 2017

sostanzeScuola e consumo di sostanze, di Rino Ermini (n°205)

Un singolo insegnante o un consiglio di classe o un collegio dei docenti, in qualunque ordine di scuola, dalle elementari alle superiori, dovrebbero impostare il discorso educativo e didattico relativi al consumo di sostanze su alcuni punti cui accennerò poco più avanti.

Forse non gli unici punti possibili, ma a mio parere molto importanti per un lavoro esaustivo e corretto sulla questione. Va da sé che strumenti e metodi, e fra essi in primo luogo il linguaggio, dovranno essere adeguati all’età delle persone che si hanno di fronte. E va da sé anche il fatto che l’utilizzo di metodologie, contenuti e strumenti didattici dovrebbe essere improntato all’autorevolezza e non all’autoritarismo, al rispetto della libertà individuale e non alla costrizione, al coinvolgimento e non solo sulla lezione cattedratica.

Veniamo all’argomento. Il consumo di sostanze che agiscono sulla psiche è un problema, non per una questione morale, ma perché può creare sofferenza e perché, se c’è la necessità di tale consumo fino a farsi male, molto probabilmente qualcosa non va nella vita di ogni giorno ed esistono forti disagi e grossi problemi sociali. E allora sarebbe opportuno concentrarsi su questo qualcosa che non va, prima ancora di puntare lo sguardo sul consumo di sostanze. A proposito del quale poi, bisognerebbe in prima istanza distinguere fra sostanze devastanti e sostanze che non lo sono, le prime da evitare, le seconde da controllare.

Un altro punto importante dovrebbe essere il no al proibizionismo. Non si è mai visto che la proibizione sia servita o serva ad alcunché di buono. Si può proibire a qualcuno di non fare una determinata cosa che potrebbe essere dannosa, ma se non vi sono educazione e informazione corrette, consapevolezza e libera scelta, non si arriva a capo di niente. Non va taciuto inoltre che il proibizionismo, da che mondo è mondo, non ha fatto altro che creare curiosità e morbosità verso l’oggetto proibito e, soprattutto, creare le condizioni ideali perché sul commercio di quest’ultimo prosperassero le organizzazioni malavitose.

È errato in ogni caso demonizzare le sostanze e chi ne fa uso. Si può ovviamente essere fermamente contrari al loro consumo e criticarne uso e abuso, ma ritengo la demonizzazione del tutto inutile e controproducente. E bisognerebbe poi aver chiaro che, nell’elenco dei “mali” della nostra società, c’è molto di peggio: ad esempio la sete di profitto e la sete di potere, due droghe in assoluto devastanti più di ogni altra, per chi se ne avvale e ne trae privilegi perché convinto che profitto e potere siano le due cose migliori inventate dall’umanità, e, soprattutto, per chi le subisce; o anche semplicemente ne fosse attratto, convinto che esse siano la panacea per tutti i problemi.

È necessario anche prestare attenzione alla distinzione fra sostanze legali e illegali. E riflettere e capire perché ve ne sono dell’una specie, il cui uso è lecito e addirittura stimolato attraverso la pubblicità, e dell’altra, il cui uso non è lecito e quindi penalmente perseguito. La distinzione fra sostanze legali e illegali esiste e serve a creare ulteriori problemi, per il semplice fatto che se una cosa è legale entra nella mente della gente il concetto che non fa male, mentre se legale non è fa male per definizione. L’elenco delle cose legali che fanno molto male alla salute del corpo e dell’anima sarebbe ahimè piuttosto lungo (non sto parlando solo delle carceri o delle snervanti code per la burocrazia o della perdita del lavoro o della fatica per arrivare in fondo al mese, ma anche della costrizione sui banchi di scuola per molte ore al giorno senza potersi muovere). Anche quello delle cose illegali che farebbero bene sarebbe lungo, ad esempio radere al suolo edifici dove si priva della libertà o dove si addestra all’uso della violenza (naturalmente non per il gusto della distruzione fine a sé stessa, ma per edificare al loro posto scuole, ospedali, laboratori per attività creative e sportive, biblioteche, teatri, cinema, ecc.). La distinzione poi fra sostanze legali e illegali serve spesso per mandare in galera alcuni e non altri, sebbene qui il discorso sia complesso: infatti, indipendentemente dalla sostanza usata, in galera semmai ci va chi è emarginato e disperato; il potente e il ricco possono consumare quel che gli pare, tuttalpiù, se esagerano nel consumo, vanno in clinica a rimettersi in sesto.

A questo punto sarebbe necessario precisare brevemente perché ho iniziato tirando in ballo la scuola. Perché ritengo che la questione del consumo o meno di sostanze stupefacenti debba essere affrontata attraverso informazione ed educazione corrette, cose che a scuola si dovrebbero fare (e spesso si fanno). In specifico, riguardo alla informazione, si dovrebbe accuratamente evitare di impostare il discorso sulla paura, sulla minaccia di una pena e altre simili cose. C’è chi lo fa, ma sarebbe bene sapere che la paura non educa, non fa crescere in modo positivo, non produce senso critico, né serenità, né maturità. Dovrebbe essere chiaro poi un altro aspetto: la scuola non può pensare a tutto, ma potrebbe attraverso un lavoro adeguato gettare le basi perché l’individuo costruisca i propri strumenti critici per riflettere su tutto ciò che incontrerà sulla propria strada. Una scuola che terrorizza, che indottrina, che inquadra, che uniforma (peraltro tutte cose che la scuola pubblica, stando alla normativa, non avrebbe fra i propri obiettivi) di sicuro non crea i presupposti affinché un individuo sappia ragionare e cavarsela di fronte alla possibilità o meno di utilizzare determinate sostanze.

E infine la scuola non dovrebbe essere da sola. Non si può non dire che anche i genitori, e la società nel suo complesso con le sue varie sfaccettature, sono chiamati in causa. E non possono agire, come spesso fanno consapevolmente o meno, nella direzione di scaricare totalmente sulla scuola il ruolo educante e liberarsi in tal modo dalle proprie responsabilità, sia riguardo alla crescita in genere delle nuove generazioni sia alla creazione in esse di coscienza e consapevolezza su singoli specifici e importanti problemi.

 

 

 

 

 

 

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