Giuseppe Fanelli, eroe della patria, eroe dell’umanità, di Nicola Terracciano (n°65)
Capita raramente che, su Cenerentola, appaiano, all’interno dello stesso numero, due articoli riguardanti personaggi storici. Abbiamo fatto un’eccezione pubblicando, oltre allo scritto dedicato al geografo anarchico Reclus, l’articolo che segue, inviato da Nicola Terracciano e dedicato a Fanelli che, come puntualizza l’autore, anarchico, nel senso stretto del termine, forse non era (ma, di certo, fu molto più che un precursore).
L’articolo su Reclus comincia con un quadretto nel quale il mite geografo imbraccia un fucile fumante; quello su Fanelli, assai più portato a menar le mani, contiene un lungo elenco delle sue imprese guerresche. Inutile negarlo: l’impiego della violenza fa parte della tradizione libertaria. Tuttavia, nel corso degli ultimi sessant’anni, la gran parte degli anarchici ha effettuato, pur senza rivendicarlo apertamente, un “disarmo unilaterale”. Probabilmente frutto della consapevolezza, maturata nel corso del tempo, che l’uso della violenza, talvolta indispensabile a scopo di difesa, allontana, piuttosto che avvicinare, la realizzazione del socialismo libertario.
Lo ribadiamo con forza, al fine di chiarire in modo inambiguo che, per noi libertari, a differenza che per molte forze politiche, il riconoscersi in una tradizione che affonda le sue radici in quella risorgimentale, non significa in alcun modo riproporre oggi bellicose strategie dimostratesi inadeguate al raggiungimento dei nostri fini.
Nacque a Napoli il 13 ottobre 1827 da Lelio e Marianna Ribera. Il padre era originario di una ricca famiglia di Martina Franca. Lelio Fanelli era un letterato, giureconsulto, agronomo e geografo di fama, anche pedagogista (di cui esistono tantissimi scritti alla Biblioteca Nazionale di Napoli), che si era stabilito a Napoli per esercitare l’avvocatura. Fu anche direttore generale dei collegi e scuole del Regio Albergo dei Poveri. Tra le sue opere "Legislazione e giurisprudenza generale del Regno delle Due Sicilie", su incarico del governo.
Si formò quindi in un "ambiente di cultura spirituale, di agiatezza economica e di politiche aderenze."(1)
Seguì gli studi di architettura, ma non terminò gli studi.
Fanelli a 18 anni si iscrisse alla Giovine Italia e nel 1848 fu volontario a Milano nella spedizione di Cristina Trivulzio di Belgioioso, incontrando Mazzini, di cui divenne amico intimo. Combattè nel Tirolo e, dopo l’armistizio di Salasco, si rifugiò con Medici nel Canton Ticino.
Nel 1849 partecipò alla difesa della Repubblica Romana con Mazzini, Pisacane, Garibaldi, si battè con valore al Vascello e si guadagnò sul campo i gradi di colonnello. Caduta la Repubblica fuggì in Corsica e poi a Malta, dove progettava una spedizione di patrioti sulle coste napoletane.
Tornato a Napoli formò un gruppo di patrioti repubblicani e democratici. Ebbe un carteggio con Pisacane, sempre nella prospettiva di una spedizione nel napoletano. Egli però pensava a tempi più lunghi e non condivideva l’impazienza di Pisacane, per cui Pisacane e Mazzini stessi lo esclusero da un impegno diretto. Ma la tragedia di Sapri fece ricadere su di lui accuse ingiuste di responsabilità o anzi di tradimento da parte di Nicotera.
Fu coinvolto nella repressione e dovette fuggire a Smirne, di nuovo a Malta e poi a Londra.
Partecipò intensamente alla preparazione e allo svolgimento della spedizione dei Mille con viaggi tra Lugano, Genova, Firenze. A Calatafimi, benché ferito, si battè con valore e Bixio lo definì "l’eroe di Calatafimi". Giunto a Napoli, col grado di colonnello, organizzò una legione di Cacciatori del Vesuvio con Pateras, che partecipò alla battaglia del Volturno e contrastò i tentativi di restaurazione borbonica nelle retrovie campane, molisane, abruzzesi.
Amareggiato per l’esito monarchico-moderato dell’impresa, si staccò da Garibaldi, ritirandosi a Martina Franca, dove la famiglia possedeva dei beni. Nel 1863 con L. Cairoli e Nullo andò a combattere in Polonia.
Tornato a Napoli, alla luce delle idee democratico-sociali di Pisacane, partecipò alla vita delle associazioni operaie mazziniane e fu presente al loro XI Congresso. Conobbe anche Bakunin, in quel tempo a Napoli, ma senza abbandonare né la massoneria, né la democrazia repubblicana, con Friscia e Gambuzzi.
Fu eletto deputato nel 1865 e restò tale fino al 1874.
Nel 1866 andò a combattere nel Trentino e fu ferito a Bezzecca.
Nel 1867 era a Lugano per discutere con Mazzini sulla necessità di dare una impronta più sociale alla sua impostazione democratica. Nel frattempo partecipò all’impresa garibaldina per la conquista di Roma, che si concluse tragicamente a Mentana.
Nell’aprile 1867 partecipò con Friscia e Gambuzzi alla costituzione dell’associazione democratico-sociale "Libertà e Giustizia", di cui fu presidente Friscia, collegata all’associazione operaia "Amore e soccorso", con criteri molto severi per l’ammissione.
Si avvicinò all’internazionalismo, partecipò nel settembre 1868 con Friscia, Gambuzzi, Bakunin, Tucci a Berna al II Congresso Internazionale della Lega per la Pace e la Libertà.
Come membro dell’Internazionale e amico di Bakunin e della sua Alleanza della Democrazia Socialista si recò per far proseliti in Spagna a Barcellona e a Madrid, apostolo e tra i primi fondatori dell’Internazionale in quel paese.
Ritornò in Italia nel 1869 ed operò a Napoli nell’ambiente democratico e internazionalista, portando all’adesione giovani come Malatesta e poi Cafiero.
Collaborò alla nascita del periodico "La Campana" di Napoli.
Fu presente alla Conferenza di Rimini del 1872 e al congresso internazionalista di Saint Imier.
Era diventato anche consigliere comunale a Napoli.
Fu in dissenso con i giovani internazionalisti per la scelta insurrezionale. Come dice efficacemente Lucarelli "il patriota, vissuto dall’adolescenza fra i turbini della politica e delle battaglie delle fortunose avventure di cui fu tante volte attore o spettatore, non era incline ad eventuali rivoluzioni e non riponeva più alcuna fede - al contrario di Bakunin - negli istinti rivoluzionari delle nostre popolazioni e specialmente delle turbe campestri, che sì barbaro spettacolo avevano dato nella spedizione di Pisacane. Egli era senza dubbio un uomo di grande coraggio, come scrive Malatesta, ma alieno da temerarie intraprese, foriere di amari disinganni. E mi valga la testimonianza del periodico socialista ‘Il Martello’ ‘Fra noi altri italiani Giuseppe Fanelli rappresentava in certo modo la prudenza e la moderazione’."
In relazione all’ultimo periodo della vita continua Lucarelli "l’ostinato persistere della gioventù libertaria nel ‘fatto insurrezionale quale efficace mezzo di propaganda’- ricordo i Congressi di Bologna, Firenze, Iesi, Tosi che si svolsero da luglio ad ottobre 1876, e la reazione elevata a sistema di governo, destarono in Fanelli un rammarico profondo; e ad amareggiare vieppiù l’animo si aggiunsero la perdita del seggio elettorale e la morte di Michele Bakunin, che si spense a Berna il 1 luglio 1876. A dar l’estremo crollo alla sua fibra già vacillante ed esausta si aggiunsero le volgari invettive che Giovanni Nicotera, assorto al Ministero dell’Interno col trionfo della Sinistra nel marzo 1876, rinnegando l’antica fede, lanciò ripetutamente contro i socialisti, additandoli come gente oziosa, perduta, criminale. Disanimato allora del presente e dell’avvenire, triste, malato e stanco di vivere, come andava ripetendo fra gli amici, fu colto da melanconia, onde venne ricoverato nella casa di cura del signor Fleurent di Capodichino, quartiere di Napoli, ove si spense all’una pomeridiana del 5 gennaio 1877." (2) Il Lucarelli riporta anche il verbale della seduta del Consiglio Comunale di Napoli del 5 gennaio, che fu interrotto alla notizia della morte con visibile commozione e impegno di partecipazione di tutti i consiglieri ai funerali.
Lucarelli così coglie il fondo etico-politico di Fanelli "Apostolo ed artista, padroneggiava gli uditori, sospingendoli verso quella meta che fu l’aspirazione della sua vita: Libertà e Giustizia" e conclude la sua fatica biografica "Alla memoria dell’Apostolo noi ci inchiniamo reverenti, ed esprimiamo l’augurio che a Napoli o a Milano o nell’avita Martina, la città repubblicana del 1799 donde trasse le prime origini e le prime ispirazioni, un ricordo marmoreo ridesti con questi brevi cenni dall’oblio il grande patriota e grande socialista italiano. A GIUSEPPE FANELLI EROE DELLA PATRIA, EROE DELL’UMANITA’. "(3)
Note
1) A. Lucarelli, Giuseppe Fanelli nella storia del Risorgimento e del socialismo italiano, De Vecchi, Trani, 1952, p.12. Il libro di Lucarelli di 168 pagine è dedicato "Alla cara memoria di Carlo Rosselli Martire della Libertà e della Giustizia", ricco di illustrazioni e foto rarissime, di documenti preziosi, che rivelano la profonda simpatia, umana e politica con Fanelli dell’insigne antifascista, socialista e storico pugliese, l’ottica storiografica rispettosa del fondamentale raccordo tra Risorgimento e primo socialismo italiano, e che andrebbe ristampato e diffuso in un cerchio più ampio della prima edizione, uscita presso una piccola casa editrice.
2) Ibidem, pp. 156-157
3) Ibidem, p. 158
Bibliografia essenziale oltre il libro di Lucarelli.
C. Gambuzzi, Sulla tomba di Giuseppe Fanelli, parole di Carlo Gambuzzi, s.l., 6 gennaio 1877.
C. Teofilatto, Fanelli dalla Giovine Italia all’Internazionale, in "Pensiero e Volontà", Roma, 1 agosto 1925.
T. Detti, Giuseppe Fanelli, voce del Dizionario Biografico del Movimento Operaio Italiano, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Vol. II, Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 284-288
G. Monsagrati, Giuseppe Fanelli, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Roma, 1994, pp. 572-577.
Manca ancora una raccolta degli scritti, che possa avviare una nuova stagione di studi su Fanelli, fermi alla bella, preziosa monografia di Lucarelli, da cui derivano tutte le notizie riportate nei vari studi che si riferiscono al periodo della sua attività politica, da Berti a Della Peruta, a Scirocco, a Masini, a Dell’Erba, fino al recente lavoro di G. De Martino - V. Simeoli, La polveriera d’Italia. Le origini del socialismo anarchico nel Regno di Napoli (1799-1877), Liguori, Napoli, 2004, pp. 157 (dal titolo sensazionale e non storiografico, che utilizza poi un termine, "anarchico", mai usato nel periodo indicato, quando si parla solo di "socialismo", "socialismo libertario", "democrazia sociale", "democrazia socialista", "internazionalismo" e i tre principali protagonisti, Fanelli, Friscia, Gambuzzi erano deputati, consiglieri comunali e impegnati su posizioni di "sinistra estrema", in particolare garibaldina, nella battaglia politica a tutto campo, in collaborazione con forze liberaldemocratiche avanzate, quindi lontane dalle posizioni assolutamente antielettoralistiche, antistataliste, antiliberaldemocratiche, che furono e restano tipiche della corrente anarchica, che si definì anche letteralmente e si affermò dopo il 1877).