Arezzo, 5 maggio 2007: Berneri inizia ad essere compreso, di Luciano Nicolini (n°92)
Camillo Berneri è stato l’ultimo grande teorico del movimento anarchico italiano, l’ultimo che si sia posto seriamente il problema di rendere l’anarchismo un’opzione politica praticabile.
Nato a Lodi nel 1897, trascorse l’infanzia seguendo la madre, maestra elementare, nei suoi incarichi a Palermo, Milano, Cesena, Forlì e Reggio nell’Emilia. Qui entrò nel partito socialista, dove iniziò l’attività politica. Alla fine del 1915 aderì al movimento anarchico e nel 1916 si trasferì ad Arezzo; l’anno successivo sposò Giovanna Caleffi e venne richiamato alle armi.
Congedato nel 1919, partecipò alla costituzione dell’Unione Anarchica Italiana, della quale divenne presto elemento di spicco. Nel 1922 si laureò in filosofia a Firenze sotto la guida di Gaetano Salvemini. Nel 1926 abbandonò l’Italia, per recarsi a Parigi, dove proseguì un’intensa attività antifascista. Allo scoppio della rivoluzione spagnola, fu tra gli organizzatori della Sezione italiana della Colonna Ascaso, accorsa per combattere i fascisti. Sarà invece assassinato il 5 maggio 1937 da agenti stalinisti.
Malgrado abbia lasciato un’imponente mole di scritti, sono stati necessari settant’anni perchè iniziasse ad essere davvero compreso. Almeno, questa è la sensazione che ho provato partecipando al convegno di studi organizzato ad Arezzo dall’Archivio Berneri.
Non si è certo trattato del primo convegno dedicato a colui che fu chiamato "la speranza dell’anarchismo". Al contrario: da alcuni anni a questa parte fioriscono le iniziative finalizzate a ricordarlo. Tuttavia, fino a ieri, mi è parso avesse prevalso la tendenza a valorizzare, del suo pensiero, solo ciò che, ai singoli studiosi, faceva comodo, liquidando il rimanente col pretesto di una sua presunta contraddittorietà; solo ora si comincia a capire che Berneri non era affatto un pensatore contraddittorio. Il che non significa, ovviamente, che tutto ciò che ha scritto sia accettabile; significa però che trova un senso all’interno della sua concezione dell’anarchismo.
Ha aperto le danze Giampietro Berti, tracciando un quadro del movimento anarchico italiano e internazionale fra le due guerre quando, mentre continuava la lotta contro il capitalismo, si trovò costretto a fronteggiare gli effetti dirompenti della rivoluzione d’ottobre, il cui mito condizionava tutta la sinistra mondiale: la guerra aveva cambiato tutto, imponendo una diversa visione del mondo.
All’intervento di Berti è seguito quello di Giorgio Sacchetti che ha parlato della formazione intellettuale di Berneri. La sua comunicazione, oltre a tracciare una mappa delle culture di riferimento che più lo influenzarono (dalla sinistra risorgimentale al socialismo umanitario, dal volontarismo all’anarchismo), ha descritto la rete di relazioni interpersonali che intrattenne negli anni della maturazione politica. Tra le figure di rilievo: la madre Adalgisa Fochi, discendente da una famiglia di tradizioni mazziniane e garibaldine; Camillo Prampolini, prestigioso esponente del socialismo riformista emiliano; Gaetano Salvemini (del quale fu allievo); i fratelli Carlo e Nello Rosselli; Pietro Jahier; Ernesto Rossi; Piero Gobetti; Pietro Pancrazi.
Interessante è stato poi l’intervento di Pietro Adamo, secondo cui il contrasto tra ricerca intellettuale e impegno militante, con i loro divergenti metodi e obiettivi, contrassegnò buona parte della vita di Camillo Berneri. Non sarebbe difficile leggere il suo intero percorso alla luce di tale contrasto, ponendo da un lato i tentativi di rinnovare l’anarchismo facendo riferimento alla filosofia, alla sociologia e persino alla scienza dell’epoca, e dall’altro l’esigenza etica dell’impegno sul campo, a fianco dei compagni di lotta. Tuttavia, un’attenta lettura degli scritti che lasciò inediti, porta a concludere che, tranne in un preciso momento (quello immediatamente precedente lo scoppio della guerra di Spagna), e anche qui con notevoli limitazioni, la sua ricerca intellettuale fu quasi sempre subalterna alle ragioni della militanza politica.
Bravo, come sempre, Claudio Venza che ha parlato del clima nel quale maturò, a Barcellona, l’omicidio di Berneri. Secondo storici sensibili ai destini dei movimenti rivoluzionari, il caso di Barcellona è un vero e proprio paradigma di una rivoluzione fermata a metà, incapace di rompere del tutto con le istituzioni borghesi e quindi destinata alla sconfitta; e non mancano le ragioni per formulare questo giudizio. Ma, vedendo quella tragica settimana da altre prospettive, il quadro si complica non poco. Un’analisi storica fondata deve considerare meglio il contesto degli eventi che, sia sul piano bellico che internazionale, non favoriva, nella primavera del 1937, una svolta nettamente rivoluzionaria. Berneri, in quel frangente, fu critico verso il collaborazionismo della Federazione Anarchica Iberica e della CNT, ma non perchè contrario all’unità antifascista, piuttosto a motivo del modo in cui veniva portata avanti la collaborazione con i partiti borghesi.
Hanno completato il quadro gli interventi di Stefano D’Errico ("Anarchismo e politica: il caso Berneri") , Francisco Madrid Santos ("Evoluzione e interpretazioni del pensiero berneriano"), Enrico Acciai ("Berneri e Rosselli in Spagna. L’esperienza della Sezione italiana della Colonna Ascaso"), Gianni Carrozza ("L’analisi di Berneri sull’Unione Sovietica tra gli anni ’20 e ‘30"), Fiamma Chessa ("Le nuove carte dell’Archivio Famiglia-Berneri – Aurelio Chessa a Reggio Emilia") e Carlo De Maria; quest’ultimo, autore di un valido testo su Berneri, ha fatto una comunicazione su "Giovanna Berneri e la memoria di Camillo", prima riflessione su di un tema: i tentativi di proseguire l’opera di Camillo Berneri, che potrebbe rivelarsi particolarmente interessante.
Nel complesso, come dicevo, dall’insieme delle relazioni presentate è uscito il quadro di un Berneri rigido da un punto di vista etico ma possibilista nel campo delle realizzazioni pratiche, avverso a ogni ragion di stato ma sensibile al contesto in cui si trovava ad operare, diffidente nei confronti del potere così come delle masse, strenuo difensore della libertà individuale così come delle forme di socializzazione attuate dal proletariato rivoluzionario.
A chiarire la sua concezione dell’anarchismo, settant’anni dopo la tragica morte, ha contribuito lo studio di numerosi scritti inediti messi a disposizione dall’Archivio Berneri. Si tratta di documenti decisamente importanti, come il suo progetto di costituzione repubblicana, che esistono ed è bene siano utilizzati. E’ sempre però opportuno distinguere, nel farlo, ciò che pubblicò da ciò che non ritenne opportuno pubblicare e, nell’ambito del pubblicato, ciò che firmò da ciò che non ritenne opportuno firmare: come ha sostenuto (in altra occasione) Gianni Carrozza, gli appunti scritti sul retro delle buste non possono avere, evidentemente, lo stesso valore degli articoli che circolarono a suo nome.