Uno sguardo dal ponte, recensione di Irene Carrubba e Eugen Galasso (n°212)
di Arthur Miller
Produzione: Compagnia “Giardini dell’Arte”
Regia: Marco Lombardi
Interpreti: Aldo Innocenti, Brenda Potenza, Raffaele Afeltra, Marcello Sbigoli, Marco Ugolini, Fabrizio Pinzauti
Questo “Uno sguardo dal ponte”, del 1955, nato sei anni dopo “Death of a Salesman”, ossia “Morte di un commesso viaggiatore”, opera molto più attuale (descrive la crisi di un uomo che non riesce a stare al passo con i ritmi di lavoro indotti dal capitalismo consumistico), si riferisce alle difficoltà di integrazione dei Siciliani nella realtà USA, dove nella pièce emblematicamente si considera il “Bridge” che separa Brooklyn, zona di immigrati poveri, e la ricca e prosperosa Manhattan.
Ma, più che sulla questione socio-economica, che pure al “marxista” Miller dovrebbe premere, il testo punta sulla tematica della gelosia, che il vecchio (relativamente) capofamiglia nutre per la nipote acquisita, ora dattilografa con un futuro quale segretaria, che si è innamorata di un giovane siciliano accolto in casa, in quanto lontano parente della moglie. Il dramma è alle porte, ma la motivazione vera è la gelosia...
Ora, sull’attualità del testo varie considerazioni:
A) il décalage culturale valeva negli anni 1950, ma oggi (da almeno vent’anni) le cose sono cambiate, in quanto gli Italo-Americani hanno in gran parte assorbito i valori della Big Apple e in genere degli Stati Uniti, anche a livello di etica sessuale;
B) negli USA oggi emigrano giovani che hanno studiato e intendono svolgere la professione di ricercatore o al limite fare i camerieri, pizzaioli, imprenditori turistici, negozianti, non certo i lavoratori portuali. Un altro mondo, diciamo la verità, senza volere stabilire quale sia migliore (sarebbe sciocco quanto assurdo). Riproporre oggi “Uno sguardo dal ponte” va benissimo, ma certo risulta sfasato rispetto alla nostra epoca.
Con tutto ciò, la compagnia lavora al meglio, con interpreti validi, una regia (Marco Lombardi) che alterna naturalismo (piatti e bicchieri in scena, per esempio) ed espressionismo (le fasi cruciali sottolineate da un’illuminazione particolare, in rosso, giallo e altre tonalità), anche nelle parti nelle quali il raccontatore, un avvocato made in Italy che funge da raccordo con gli USA, narra i suoi incontri con il capofamiglia, dapprima osservatore coinvolto quanto geloso, poi reo confesso... Da sottolineare che l’avvocato è, appunto, partecipe alla vicenda, dunque pienamente inserito nella stessa, però sa osservare criticamente, in quanto più colto e relativamente distaccato dal contesto familiare, di cui non fa parte.
Miller è grande autore (in specie drammaturgo) ma talora qualche suo testo è, appunto, datato, come sottolineato in precedenza. Il che non vuol dire che sia sbagliata la scelta di rappresentarlo. Il teatro non è cronaca, cui sono preposti i mass-media, spesso impegnati (bene o male, ovviamente) a cavalcare la tigre della cronaca.