Il borghese gentiluomo, recensione di Irene Carrubba e Eugen Galasso (n°220)
Opera di Molière
Produzione: Namasté Teatro
Adattamento e regia: Stefano Tamburini
Interpreti: Michele Fabbri, Andrea Nardi, Rita Serafini, Valeria Vitti, Lorenzo Bittini, Barbara Danzé
Musiche: Marco Bucci
Jourdain, borghese (diremmo meglio “bottegaio”, specificandone la professione), è un arrampicatore sociale del Seicento (l’opera è del 1670, tre anni prima del “Malade imaginaire”, anno nel quale Molière, muore in scena quale attore protagonista).
Un arrampicatore socialeche da un lato vuol acquisire cultura (con pessimi risultati) per entrare “in società” e dall’altro vuol far sposare la figlia da un aristocratico, sempre allo stesso scopo. Sarà una congiura della figlia e del suo innamorato, organizzata con i domestici, a far scattare la scelta di accettare il matrimonio della figlia con Cleante, presentatosi però in altra veste (nell’originale dignitario turco, in questa versione figlio del Gran Khan).
Si tratta di una comédie-ballet, e questa versione del Namasté Teatro, ideata e diretta da Tamburini, rispetta il “dettato”, proponendoci la straordinaria musica di Jean-Baptiste Lully, il compositore di Moliére, ma anche i balletti, in origine di Pierre Beauchamp che introduce modifiche essenziali, rispettando in pieno lo spirito di Moliére che voleva irridere la borghesia, allora classe montante, anche se politicamente ancora ininfluente.
Tamburini ha introdotto la scena dipinta della Firenze dell’epoca e ha cambiato il contesto, facendolo diventare fiorentino: Giordani/ Jourdain parla il fiorentino popolare, come a tratti i domestici, gli altri in italiano (“fiorentino delle persone colte”, come scriveva, non del tutto correttamente, Alessandro Manzoni). Ci sta; anche perchè a Firenze la borghesia, all’epoca, era già economicamente potente, e in qualche modo forse più rappresentativa che a Parigi; inoltre, la scelta di mutare la “sceneggiata” per convincere Jourdain al matrimonio della figlia passa dal contesto turco a quello cinese.
Questo “play in the play” è assolutamente riuscito nella versione di Tamburini, e sarebbe piaciuto a Molière che, nell’ambito della commedia, rappresenta quanto Shakespeare aveva rappresentato per la tragedia: il dramma e la commedia (i due grandi generi del teatro mondiale) si sviluppano autonomamente sia perché Shakespeare è anteriore di due generazioni, sia perché Molière quasi certamente non conosceva nessuna delle sue opere.
Un teatro eterno, quello molièriano, in quanto capace di rappresentare satiricamente le classi sociali, ma anche di provare compassione critica per un ignorante scarsamente intelligente come Jourdain, che ha comunque un suo sogno, anche se talora delirante.
Interpreti pienamente in parte, dal protagonista Michele Fabbri ad Andrea Nardi, a Rita Serafini, a Valeria Vitti, a Lorenzo Bittini, a Barbara Danzé, ma anche gli interpreti dei ruoli minori vanno decisamente bene.