Bazin, recensione di Eugen Galasso (n°258)
Spettacolo di Giancarlo Sepe, autore e regista
Produzione: Teatro la Comunità
Interpreti: Giuseppe Arezzi, Marco Celli, Margherita Di Rauso, David Gallarello, Claudia Gambino, Francesca Patucchi, Federica Stefanelli, Guido Targetti e – nel ruolo di Bazin – Pino Tufillaro
Da sempre appassionato cultore di cinema, Giancarlo Sepe, figura storica del teatro di ricerca in Italia e in Europa, propone questo appassionante quanto (apparentemente) enigmatico “Bazin”; dove si parla del grande critico, storico e teorico del cinema André Bazin (1918-1958), che ha scritto testi fondamentali sulla teoria del cinema, oltre ad esprimersi come critico militante, fondando i Cahiers du cinéma, tuttora la rivista portante del cinema francese, nonostante la concorrenza di Positif.
Risultano fondamentali le sue analisi teoriche sullo spazio scenico a teatro e nel cinema, sulla necessità che il cinema, se tratto da opere teatrali, non mascheri la propria provenienza dal teatro, sul rapporto con il montaggio, sul cinema statunitense, su quello espressionistico tedesco (Murnau, Lang), sul neorealismo italiano e, ovviamente, sul cinema francese.
Senza Bazin autori come Truffaut, Godard, Chabrol, Rivette, Rohmer non avrebbero fondato quella corrente del cinema che si chiama “nouvelle vague”.
Spettacolo magmatico, si svolge in uno spaziotempo indefinito, quello del set filmico. Tema è l’ultimo giorno di vita di Bazin, morto giovane a causa della leucemia. Le meditazioni/riflessioni sul cinema, ma anche il fallimento dell’autore incompreso, cattolico e comunista allo stesso tempo in epoca preconciliare (il Vaticano II viene indetto nel 1961), sono tutti temi che emergono scenicamente con dei cartelli/didascalia che li indicano, insieme a quello fondamentale delle “regole del gioco”, dove giustamente Sepe rileva come il gioco si basi sempre su regole che però sono da superare, trasgredendole.
Interpreti bravi quanto fantasmatici, in ottemperanza alla sintesi cinema/ teatro; spettacolo dove la musica (insieme alla luce, come rileva a livello teorico lo stesso autore) sono chiavi portanti, non meno della parola (bella la figura paradossale del nazista innamorato dell’arte, reso da Giuseppe Arezzi; dove Bazin è Pino Tufillaro e Margherita Di Rauso la moglie Janine). Passando alla musica, lo spettacolo si apre con “Je chante” del grande poeta/ chansonnier Charles Trenet e termina con “Boum” (“l’amour fait boum”) dello stesso autore.
Per chiudere con il cinema e una sua citazione, lo spettacolo ha in sè “La vie, l’amour, la mort” (era un film di Lelouch, indirettamente legato alla “nouvelle vague”), non solo di Bazin, ovviamente, ma di tutta un’epoca, dove similmente all’araba fenice del mito, teorie ma anche stilemi espressivi rinascono dalle proprie ceneri.