La solita zuppa, recensione di Irene Carrubba e Eugen Galasso (n°264)
da un racconto di Luciano Bianciardi, adattamento teatrale di Riccardo Rombi, testo, regia e interpretazione di Maria Cassi e Leonardo Brizzi
Luciano Bianciardi (1922- 1971), morto a quarantanove anni neppure compiuti a causa del suo etilismo, legato a una forte depressione, è personaggio originale della cultura italiana. Grossetano, laureato alla Normale di Pisa, già allievo di Guido Calogero, uno dei teorici del liberalsocialismo, iscritto al Partito d’azione (dopo lo scioglimento dello stesso mai più iscritto a partiti),
Bianciardi fu docente di filosofia e storia nel liceo di Grosseto, bibliotecario, scrittore, giornalista, traduttore dei grandi scrittori statunitensi (Faulkner, Steinbeck, Miller). Scrisse “La vita agra”, “Il lavoro culturale”, “I minatori della Maremma” (con Carlo Cassola), “Da Quarto a Torino”, “Aprire il fuoco” e molti racconti, tra cui questo “La solita zuppa”, dove il tema è la degustazione di cibi “proibiti”, ovvia allusione ai piaceri sessuali, altro tabù italiano, mediterraneo e in genere cattolico.
Maria Cassi e Leonardo Brizzi narrano Bianciardi dall’innamoramento ginnasiale per la prof di inglese, alla guerra, alla resistenza, alla scrittura, poi al racconto in sè, sempre intercalato da canzoni come “Azzurro” di Paolo Conte, “Goganga Goganga Nghinga” di Giorgio Gaber, “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco, “L’oselin de la comare”, vero inno alla libertà sessuale, più efficace di ogni proclama scritto e meramente teorico.
Un omaggio scherzoso, ma certamente non solo, al grande dimenticato autore grossetano, che ne sarà orgoglioso, dovunque si trovi...