Ali, recensione di Eugen Galasso (n°267)
di Antonio Viganò, Remo Rostagno, Gian Luigi Gherzi
Teatro La Ribalta in coproduzione con “le Grand Bleu” di Lille
regia, scenografia, luci e costumi: Antonio Viganò
coreografia di Julie Anne Stanzak
Interpreti: Jason De Majo e Michael Untertrifaller
Inserito nella rassegna “Corpi eretici” che viene proposta in vari teatri italiani ed europei, questo “Ali” ci narra la storia di un uomo disilluso, che ha dietro di sè (pare) una vicenda triste di un rapporto finito con una donna, e di un angelo caduto da un palo della luce che continua a ripetere che “vuole imparare”, ossia imparare a conoscere la vita umana, materiale, con le sue gioie e le sue - invero notevoli -sofferenze.
Dopo un periodo di malinteso su ogni aspetto della vita, dato dalla non conoscenza / non comprensione reciproca, l’intesa si crea e alla fine persino l’uomo “materiale” arriverà a concepire la possibilità di volare (almeno di cercare di volare) e la conclusione vede i due mimare insieme il volo.
L’antico sogno di Icaro, ma anche il volo dell’angelo (mito, se si vuole, ma leggibile in tanti modi, dove il simbolo è più che mai aperto a molte letture) si lega, volendo trovare una ispirazione, al teatro simbolista/ poetico di Maurice Maeterlinck, dominante nella prima metà del Novecento, ma anche a quel capolavoro letterario assoluto che è “Le Petit Prince” (il piccolo principe) di Antoine de Saint-Exupéry
L’aspirazione alla libertà è innata in ogni essere vivente e si realizza con modalità diverse: il Teatro La Ribalta si occupa soprattutto di diversabilità (dove diversabili lo siamo tutti, in qualche modo, si pensi solo ai seri problemi di vista e polmonari di chi scrive questa nota) e i due interpreti di questo “Ali” sono in certo senso perfetti, strappando applausi più che meritati.
Libertà, ricerca di sè e dell’altro, inteso anche come ambiente naturale, dove qui la scenografia prevede sassi e recipienti per trasportarli, ma anche il palo della luce da cui l’angelo scende, trovandosi in un “deserto” solo apparente, quello tante volte evocato (da Baudelaire agli ermetici italiani).
Decisamente bene, senza dimenticare che lo spettacolo, che era stato proposto nel 2017, è dedicato alla memoria di Joseph Scisiuna, interprete dello spettacolo appunto nell’anno di debutto dello stesso.