Digiunando davanti al mare, recensione di Eugen Galasso (n°279)
Dedicato a Danilo Dolci
Produzione: Principio Attivo Teatro in collaborazione con Teatro la Ribalta
Drammaturgia: Francesco Niccolini Regia: Fabrizio Saccomanno Con: Giuseppe Semeraro
Danilo Dolci (1924-1997), poeta e sociologo, fu soprattutto esponente, con Aldo Capitini (che scrisse due libri su Dolci), di quell’approccio politico basato sulle azioni nonviolente che ottenne, in alcuni comuni della Sicilia, risultati come la disponibilità di acqua potabile, da sempre un obiettivo ambito.
Nato in un paese vicino a Trieste, da padre italiano e madre slovena, Dolci visse quasi sempre nella Sicilia occidentale - Trappeto e poi Partinico – impegnandosi, insieme ai cittadini più poveri, ai contadini, ai pescatori, agli operai, contro la mafia e la corruzione.
Un socialista libertario sui generis, che pur scrivendo molto, non era soltanto un teorico, ma anche un attivista sempre con il “corpo nella lotta”, per dirla con Pasolini.
Con assemblee e riunioni, con i digiuni e le azioni nonviolente, sulle orme di Gandhi, Dolci lotta contro analfabetismo e fame insieme ai poveri, che aveva conosciuto nel 1941 a diciassette anni, quando aveva raggiunto il padre traferito a Trappeto come capostazione, per unirsi a loro dieci anni dopo e finire anche processato (26 processi) quale “agitatore”.
La pièce teatrale, interpretata benissimo da Semeraro, attore (e poeta) salentino, attivo anche con il Teatro Valdoca e con Danio Manfredini, si svolge su una scena nuda, con una sedia, dove Giuseppe si siede quando interpreta Dolci o il suo amico siciliano processati; mentre le parti sia narrative (brevi) sia dichiarative/ esclamative dei due personaggi (Dolci e l’amico) vengono rese in piedi con grande uso di tutto il corpo, come nella tradizione del teatro di ricerca. Non siamo mai nella dimensione della conferenza/ lezione, ma in quella della narrazione teatrale, ossia del teatro inteso nella sua essenza più pura, quella di Grotowski, per non dire addirittura di Antonin Artaud.
Quanto di più corrispondente alla figura di Dolci, fatta risaltare anche con l’alternanza tra italiano (quello di Dolci) e dialetto siciliano (dell’amico coimputato con il poeta). Un teatro che proponga le grandi problematiche civili, soprattutto in questo modo, ossia pienamente teatrale e non retorico, rincuora e fa capire come possa realmente ancora incidere su di un pubblico spesso obbligato a occuparsi di banalità, delle “cose che accadono” o, meglio, che vengono fatte accadere, magari per distogliere da problemi che sarebbero più importanti.