La locandiera, recensione di Irene Carrubba e Eugen Galasso (n°280)
di Carlo Goldoni
regia: Antonio Latella
produzione: Teatro Stabile dell’Umbria
drammaturgia: Linda Dalisi
scene: Annelisa Zaccheria
interpreti: Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Marta Pizzigallo,Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Annibale Pavone, Gabriele Pestilli
Perchè proporre, a distanza di pochi anni, sempre nuove versioni di un classico come “La locandiera”? Perchè è una delle poche commedie goldoniane in italiano e non in veneziano, perché è la prima commedia (scritta a fine 1752) che disegna dei caratteri e non delle “maschere”, perché è compiutamente “realistica”, disegnando uno scenario nel quale è la realtà a farla da padrona: una locanda, a Firenze (non a Venezia, un’eccezione per Goldoni), una locandiera - Mirandolina - erede del padre, un servo, un aiutante, due pretendenti quali sposi di Mirandolina (un nobile decaduto che ha dovuto vendere il titolo nobiliare, un mercante arricchito che ha comprato il titolo), un giovane aristocratico, più che misogino, che Mirandolina riuscirà a far innamorare, salvo poi rifiutarlo.
Scena moderna, abiti anch’essi moderni, senza essere stravaganti o ispirati a canoni troppo eccentrici. Accelerazione dei movimenti, dove anche il rapporto gesto/parola acquista un rilievo particolare, con l’ausilio di una musica, opera di Franco Visioli, che sembra fondere quella settecentesca con il pop-rock.
La Mirandolina di Latella, ottimamente resa da Sonia Bergamasco, è seduttiva ma non civettuola. Da dire, ancora, che tutti gli interpreti e le interpreti sono pienamente partecipi del preciso disegno registico. In particolare Marta Cortellazzo Wiel e Marta Pizzigallo, che interpretano la due commedianti (ossia attrici) che si fingono dame, rendendo il gioco particolarmente intrigante.