Letture
Augusto Trinciapolli, di Rino Ermini n°282
Mi chiamo Gosto Trinciapolli. Che poi Gosto sarebbe Augusto, ma in questa città se a uno per strada gli dicessero Augusto tutti lo prenderebbero per il culo. E perché? Vai a saperlo! Perché questa gente è fatta male, ha le sue abitudini e se gli chiedi perché di uno che si chiama Leonardo non hanno nulla da dire, mentre ironizzano su Augusto, nemmeno capiscono la domanda. Figuriamoci poi se uno si chiama Augusto e per di più ha per cognome Trinciapolli, un cognome che da queste parti sarebbe anche inesistente, e non si sa da dove venga. La conclusione è che con un simile nome e un simile cognome ti prendono per il culo a vita. Tiriamo via Trinciapolli, che anch’io me ne vergogno, ma Augusto che c’entra?
Cena a Montemignaio, in Casentino, molto tempo fa, di Rino Ermini (n°281)
Questa è una storia, che non è una storia, di oltre un secolo fa. Erano a tavola per la cena. La tavola l’avevano tirata vicino al fuoco acceso nel camino, per sentire meno il freddo e anche per vederci meglio perché la lampada ad acetilene non faceva granché luce. La famiglia era composta da un uomo sui quarant’anni, da sua moglie che ne aveva tre di meno, dai loro tre figli, uno di quattordici anni, uno di dieci e una bambina di sette, e dal padre di lui, vedovo, che aveva una settantina d’anni.
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La Macchia, di Rino Ermini (n°277)
C’è stato un lungo periodo in cui andavo spesso a camminare nella macchia maremmana. Quello della macchia è un camminare strano. Si va per ore e ore su sentieri fra due pareti di vegetazione che lasciano vedere solo un po’ di cielo sopra la testa, e a volte nemmeno quello perché le piante si chiudono, e si procede come in una galleria di rami, frasche e foglie che fanno giochi strani di luce per il sole che vi penetra a fatica. E guai ad abbandonare il sentiero. Si può provare per qualche metro e procedendo con difficoltà: fra stracciabrache, ginepro, rovi, scope, lentisco, fillirea ed ogni tipo di ramaglia, è impossibile camminare, a meno di non essere un cinghiale, ed alto è il rischio di perdere subito l’orientamento
Un ex studente, nuovi attrezzi e un vicino, di Rino Ermini (n°276)
Sono sceso (o salito) ai livelli di mio nonno, contadino e analfabeta. Se doveva andare al mercato per comprare un pennato, cominciava a ragionarne fra sé, con i famigliari e coi vicini almeno qualche settimana prima. E quando tornava col pennato nuovo seguitava per almeno una settimana dopo. Prima erano discorsi fatti di ragioni che motivavano l’acquisto, e di dubbi per mettere alla prova le ragioni. Poi erano discorsi sull’uso, e sulle riprove che l’acquisto era stato sensat
A marzo, come si fa ogni anno, ho potato gli olivi. Fino ad ora, e chissà da quanto tempo, gli strumenti per un tale lavoro erano forbici, seghetto e scala, con l’aggiunta magari di uno svettatoio e di un troncatore manuali introdotti da non molti anni. Ma le innovazioni viaggiano veloci e non c’è più nessuno ormai che si avvalga ancora di questi arnesi. Sarei rimasto soltanto io, ma alla fine mi son messo al passo. Di malavoglia, ma così è stato.
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Il furto di un castoro, di Rino Ermini (n°274)
Ve la ricordate la storia di “Peter Russell, la bibliotecaria e Bakunin fuori posto”? (Pubblicata sul numero di marzo).
Ecco l’incipit di una poesia di Russell che si intitola “La Turbina”. La Turbina era l’antico “mulino” lungo il torrente Resco Simontano, per lungo tempo utilizzato da una grossa fattoria per produrre energia elettrica. Lo ricordate? E dove per un certo periodo provarono anche ad allevare i castori, non so se per semplice spirito creativo o per fare commercio di pellicce.
Peter Russel, la bibliotecaria e Mikhail Bakunin fuori posto, di Rino Ermini (n° 271)
Invece di andare in giro col computer per scrivere in mezzo a boschi, piagge e faggete, oggi sono venuto in biblioteca. Per forza, dirà qualcuno, piove a dirotto, come si fa ad andare a scrivere col computer sulle ginocchia in un bosco, al freddo e sotto il gocciolio della pioggia?
Come si fa? Si fa che basta essere un po’ matti, un po’ poeti mancati, accontentarsi del sole se c’è il sole, voler bene alla pioggia quando piove... e soprattutto avere in odio il capitalismo.
Scusami eh? Ma che c’entra il capitalismo?
C’entra eccome!
Comunque sia, oggi sono venuto alla Casa della Cultura del mio paese, dove sta anche la Biblioteca pubblica intitolata a Ilaria Alpi.
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La storia di Fofino conte degli Alamanni (o di Bettino, barone dei Ricasoli?), di Rino Ermini (n°260)
Questa storia la sentivo raccontare da ragazzo. La trascrissi che ero sui quattordici anni. Poi, a vent’anni, siccome mi venne lo sghiribizzo dall’oggi al domani di dare una svolta alla mia vita, decisi di bruciare tutto quello che avevo scritto fino ad allora. Feci un falò nel campo, ma bruciarono le carte e io rimasi com’ero, magari più bischero di prima, come disse la ragazza con cui stavo a quei tempi e che era presente al falò.
Andrea Babini: Tra anarchia e cristianesimo (n°255)
La rivista D.M.C.D./CR.AN. e il movimento cristiano-anarchico
Editore: La Mongolfiera
«Fra le tante domande che il variegato mondo dell’anarchismo si è posto (ma che probabilmente ha smesso di porsi da tempo) c’è anche quella relativa alla coesistenza con il cristianesimo. Che in sé è una domanda piuttosto semplice e scontata, visto l’ambiente culturale in cui gli anarchici si sono trovati a operare da un paio di secoli a questa parte, mentre la risposta invece non lo è affatto. Perché se è vero che il 99% degli anarchici hanno escluso tale relazione, sia in termini di principio che a livello “operativo”, il rimanente 1% ha affrontato, e affronta, la questione in maniera più articolata. E il motivo principale – lo dico anche per esperienza personale, diretta e indiretta – è perché la fede cristiana (declinata perlopiù sottoforma di confessione cattolica) fa o ha fatto parte della propria esperienza di vita, e ad essa si è o si è stati convintamente legati; di conseguenza, anche il “credo” politico non può rimanerne indifferente.
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Casa Tomaggia, di Rino Ermini (n°253)
Casa Tomaggia esiste ancora oggi. Ci si arriva con una strada bianca, aperta ai primi del XX secolo, che risale la valle affiancando il torrente che la discende; da questa strada, a un certo punto, si imbocca a sinistra una carrareccia, un tempo lastricata e ormai ridotta a sentiero, che si inerpica sui pendii boscosi del Poggio di Corte Castiglioni. Casa Tomaggia esiste, ma è soltanto ruderi; e i campi intorno solo occhi esperti possono indovinarli nei resti di muri a secco delle terrazze, fra quercioli, ginestre, scope, prugnoli e macchie di pruni. Il sentiero prosegue dopo i ruderi, aggira una forra percorsa da un rivolo d’acqua limpida, esce dai boschi per entrare negli oliveti di Case Figlinelli e ridiscende verso Pian di Tegna
Brunero Ciantini, di Rino Ermini (n°252)
ovvero: “Le trasformazioni di un razzista”
Questa storia, un po’ personale e molto semplice, riguarda Brunero Ciantini, un uomo d’una quarantina d’anni nato a Firenze; più precisamente riguarderebbe certe idee senza senso sulla nascita e il luogo d’origine che malauguratamente si trovano un po’ dovunque e sempre più spesso, non solo a Firenze. A vent’anni, quindi non molto tempo fa, Brunero faceva parte di un gruppo di suoi coetanei come ce ne sono tanti, e non perdeva occasione di far notare che lui era “cittadino” e “fiorentino puro”.
Il podista e i costruttori di capanne, di Rino Ermini (n°250)
Molte saranno le storie già scritte e ambientate all’epoca del covid, ma confesso di non essere interessato, e credo che non andrò a cercarle né a leggerne alcuna. Ne ho abbastanza del covid e di quel che c’è girato e ci gira intorno, e di tutte le storie di sofferenza che si sono aggiunte a quelle d’ordinaria amministrazione. Non dico delle storie di gente sempre sulle prime pagine dei giornali, ma delle storie della gente normale, quelle di cui nessuno si occupa. Tuttavia di storie, a mia volta, non posso non raccontarne almeno una che, fra l’altro, non sarebbe nemmeno una storia, ma un fatterello da prendere per quel che è.
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Il secolo lungo (n°249)
di Eric Hobsbawn Junior
anno di pubblicazione: 2222
Capitolo 2:
La lunga pandemia1
Come abbiamo visto nel primo capitolo, dopo il crollo del socialismo sovietico, il capitalismo - liberato da scomode concorrenze - si sbarazzò del suo “volto umano” costituito dalle politiche socialdemocratiche e keineisiane per tornare a ignorare bellamente i problemi sociali. Il trionfo del pensiero neoliberista fu tale da assumere la dimensione di pensiero unico, a cui aderirono sostanzialmente quasi tutte le correnti politiche.
Un paese vero, Rino Ermini (n°234)
Questo non è un racconto, ma la descrizione di un paese. E che differenza fa? Non lo so. Dicevo per i critici letterari, quelli che ti spiegano che cosa sono o che cosa non sono un romanzo, un racconto, un racconto lungo, un romanzo breve, o che so io. Insomma, mettevo le mani avanti. Si tratta di un paese brutto, e anche un po’ sporco, che sta nel profondo sud, come tutti i paesi brutti e sporchi.... scusate avevo la carta geografica capovolta, ho sbagliato ad orientarla. È un paese che sta al nord, ma così a nord che di più non si può.
I partigiani e la fattoria, di Rino Ermini (n°232)
La fattoria del Ragneto era circondata da un grande recinto in blocchi squadrati di pietra serena alto tre metri sulla cui sommità erano murati cocci di bottiglia. Questa la prima caratteristica che si percepiva arrivandoci. C’erano due ingressi: uno per transitare a piedi e un passo carraio che stavano ambedue sul lato lungo la via comunale; un altro passaggio, per carri e persone, era dalla parte opposta ed immetteva nei campi. Dentro il recinto ci stavano la casa padronale e un parco signorile: sempre chiusi e in ordine in attesa del padrone, che viveva in città e lì ci passava sì e no una settimana due volte all’anno.
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